Exit sul palco
Polvere
Terz’ultimo spettacolo della rassegna, Polvere è presentato dalla compagnia il Teatro della Giostra. Scritto da Alessandro Di Somma, la regia è affidata a Lorenzo Montanini che ha diretto Alessandro Di Somma, Carlotta Piraino, Eleonora Turco, Diego Venditti, Sonia Villani, Marco Zordan.
Si parla d’amore, meglio, di quel momento lungo e malinconico che ne precede la fine, quando la passione è un ricordo sepolto da incomprensione e domande mute. L’amore è come un fiore che muore nell’istante esatto in cui viene colto: questa l’immagine iniziale che ne dà il Lui della coppia (Alessandro di Somma).
Lui incontra Lei (Carlotta Piraino) e sono sorrisi emozionati e felicità che, col passare del tempo, assumono le sembianze della noia, come ben sintetizza la scena di Lei che, sfilandosi ogni volta un vestito di colore diverso con sempre più ansia e minore trasporto, salta in braccio a Lui, che la prende tra le braccia sempre meno convinto fino a lasciarla cadere. Ormai imbarcati verso la separazione, prendono consistenza ossessioni reciproche e scheletri nell’armadio – letteralmente – accanto a sogni di una passione e femminilità ormai spente.
I personaggi si alternano in un intreccio onirico avvincente. Le ossessioni di Lui (Marco Zordan) arrivano a fargli compagnia quando Lei dorme, e lo tartassano con domande bislacche e un fare nevrotico. Lei intanto è tormentata dal sogno di una gatta rossa, muta e morta. Appare insieme alla sua compagna nera sbucando da sotto al letto come paure ancestrali di bambina. Nemmeno un momento di intimità condivisa alla luce di un frigorifero permette ai due di incontrarsi di nuovo, la fiamma della passione è congelata dal tempo.
Entra in gioco anche la paura (Diego Venditti) di staccarsi dalle cose sempre uguali di tutti i giorni e persino dall’infelicità, per non lasciarsi cadere in un vuoto forse liberatorio, ma ignoto. Una figura triste nell’armadio racconta la sua paura di camminare staccandosi dalle cose (stampelle, comodino, frigorifero) e compie manovre fantasmagoriche per conciliare movimento e attaccamento.
Così, giorno dopo giorno, questo universo di personaggi si fa sempre più ingombrante e asfittico, surreale come la corsa con le amiche al parco cantando “Il cielo in una stanza”, quasi urlando verso di lui parole di rabbia.
Alla fine non resta niente, la stanza si decompone ma non lascia intravedere il cielo o gli alberi infiniti; via letto, armadio e frigorifero, via la vita insieme. Ciò che resta è soltanto polvere.
Francesca Paolini
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