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Tag: editoriale

I come intervallo (estivo)

Mi sono permessa di fare un salto. Eravamo arrivati alla H per ciò che riguarda il nostro dizionario musicale, e con “h” non è che mi sia venuto in mente gran che, a parte “hotel”, che c’entra tanto con le vacanze ma ben poco con la teoria musicale.

E allora eccomi alla I, “i” come “intervallo”. Che c’entra lo stesso con il tema vacanze ma anche tanto con la musica. Siamo in piena estate, e questo è l’ultimo numero prima dell’intervallo vacanziero, e con questo ultimo numero cercheremo di darvi info utili sugli eventi in corso ma anche qualche anticipazione settembrina.

Intervallo che ci serve per riposarci, rigenerarci, rilassarci, ricrearci, rincontrarsi.

Intervallo, oh sì, serve un intervallo per farci riflettere su quanto abbiamo fatto in questi sei mesi del nuovo MArtemagazine, ma serve un intervallo per rileggerlo, rivederlo e rimodellarlo sulle idee nuove che man mano arrivano, ci colgono, ci modificano.

L’intervallo estivo è quello forse più spensierato, forse perché più lungo, più goliardico. E’ quello che percepiamo maggiormente nel periodo dell’anno.

E in musica? L’intervallo, in musica, indica la distanza tra un suono e l’altro, ma a differenza dell’intervallo estivo, quello musicale non è percepito dall’orecchio umano, perché ad un suono, anche se prolungato o seguito da pause, ne segue un altro. La distanza non si percepisce. E la distanza tra suoni può essere di due tipi: c’è quello sincronico o armonico, in cui due o più suoni vengono suonati contemporaneamente (è il caso dell’accordo); oppure può essere diacronico o melodico, in cui i suoni vengono suonati successivamente, consecutivamente (è il caso della scala musicale, che poi può essere ascendente o discendente, ma questo è un altro capitolo!).

E con l’intervallo musicale, io e tutta la redazione vogliamo augurare a tutti i nostri lettori un sereno e rilassante, ma anche avventuroso e frizzante intervallo estivo. Sicuri che dopo tonificanti bagni, assolate spiagge,rilassanti passeggiate, gioiose avventure, tra emozionanti montagne e riflessivi laghi, e soprattutto con tanti special mojito e frizzanti bollicine dell’happy hour con gli amici, o di fronte a romantici tramonti con la dolce metà, il ritorno alla nostra quotidianità, sia più felice!

O.R.

G come giro

Siamo in estate, e cosa c’è di meglio che farsi un giro al mare o in montagna, girare il mondo, o fare semplicemente un giro intorno alle nostre città o fare come una volta il girotondo con qualcuno dei nostri nipotini, e perché no, fare un giro in barca e con l’occasione anche un giro di boa. In barca o nella vita.

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F come figura

Siamo giunti alla F. Quanti significati vengono in mente, a quante cose pensiamo con il temine “figura”: fisica, immaginaria, geometrica, allegorica, umana, teatrale, animale, artistica, simbolica, religiosa, mistica, decorativa, comportamentale, sportiva, filosofica, letteraria. Ma a nessuno viene in mente la figura musicale, che non ha nulla a che vedere né con l’espressione artistica né con l’estro di un musicista, né tantomeno con la forma di uno strumento.

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E come estensione

E come estensione. Oggi quando parliamo di “estensione” il primo pensiero va alle tante forme di file informatici che quotidianamente utilizziamo su un PC, o piuttosto su uno smartphone o chissà quale altro dispositivo: l’estensione, appunto, indica il tipo di programma utilizzato per creare un determinato documento (.doc, .pdf, .mp3, etc…).

Ma cosa indica in musica il termine “estensione”? Comunemente, in musica, si usa per indicare l’intervallo di suoni riproducibili da parte di strumento musicale o di una voce: ad esempio, il soprano e il contralto hanno un’estensione vocale che permette di eseguire suoni alti nel primo caso, mentre il secondo arriverà a determinati suoni bassi. L’estensione è dunque la possibilità e la capacità di riprodurre una varietà di suoni che va da una data nota bassa ad un’altra nota alta.

Stessa cosa vale per tutti gli strumenti musicali: un oboe o un violoncello possono arrivare a riprodurre delle note basse, mentre un violino o un flauto riprodurranno delle note ben più alte, cioè più acute, tecnicamente si dice “di ottave più alte”.
Poi ci sono degli strumenti in cui la possibilità di suonare note basse e acute, è maggiore, come ad esempio il pianoforte. Delle cinque ottave che compongono la tastiera (cioè tutti i tasti bianchi e neri dal primo a sinistra all’ultimo a destra), possono essere riprodotte note di diversa estensione, dalle più basse a quelle più alte.
Ma una nota più acuta di quella che suona l’ultimo tasto a destra, non sarà possibile. Quella è la nota più alta che l’estensione del pianoforte può riprodurre.

La voce, al contrario, è uno strumento meraviglioso anche in questo: duttile, è possibile educarla, allenarla, estenderla con esercizi e studi fino a riprodurre con il canto una varietà di suoni che sembrerebbe impossibile da immaginare.

Come a dire, soprano non si nasce, ma ci si diventa! Certo, lì poi entrano in gioco altre variabili come la lunghezza e l’elasticità delle corde vocali, l’ampiezza della cassa toracica, la tecnica acquisita, la capacità dell’interpretazione e dell’espressione, la vena artistica. Certamente un uomo, intendendo di sesso maschile, pur volendo e anche facendo innumerevoli esercizi musicali, non potrà mai arrivare a riprodurre suoni come un soprano (un soprano è sempre donna). A meno che non sia stata “manomessa” la natura: tutti ricordiamo, attraverso il film omonimo, Farinelli che, come tanti cantanti nel passato, pur di mantenere una voce “bianca” (quella tipica dei bambini che erano gli unici cantori ammessi nel coro in chiesa perché appunto considerate voci “pure”) è stato evirato in modo tale che lo sviluppo fisico non vada a fare quel “lavoro” di mutamento delle corde vocali che riconosciamo in un adolescente nel suo passaggio verso l’età adulta. Con la sua voce angelica, Farinelli, divenne il cantante castrato più famoso in tutta Europa nel Settecento (nella foto, l’estensione vocale sul pentagramma di Maria Callas).

La voce potrebbe essere paragonata alla vita. Tutte e due possono essere estese, arricchite, con tecniche e studi, e con tanta volontà (ma anche tanta, tantissima pazienza) possiamo, se vogliamo, spostare il confine delle nostre possibilità, fare cose mai pensate e ogni volta accorgerci che possiamo impegnarci per fare tanto altro in più.
E chiudo con un motto che da un po’  ho adottato e che mi sembra bellissimo: la vita non si può allungare, ma allargare ed estendere, sì!

O.R.

C

“C” come chiave. E non parliamo di una chiave qualunque, anche se questo termine ci riporta ad un significato ed oggetto ben identificato, oltre che a diverse accezioni simboliche.
Parliamo della “chiave musicale”. E partiamo col dire che di base ce ne sono tre: di DO, FA e quella di SOL, comunemente conosciuta come “chiave di violino”.

Sono dei segni, mutuati e mutati graficamente nel tempo da lettere dell’alfabeto gotico, che vengono posti sul pentagramma, prima dell’inizio delle note musicali, perché è proprio la chiave a dettare la regola, chiamiamola così, “di lettura” perché, a seconda di dove è posta, serve a fissare la posizione delle note e la relativa altezza dei suoni. Le chiavi musicali, sistemate in posizioni diverse sul pentagramma, danno la possibilità di scrivere la maggior parte di note dei suoni, dai più o meno gravi o acuti, per evitare il posizionamento delle note, esternamente ai “righi”, tramite i tagli addizionali, segnetti che si pongono sopra o sotto il pentagramma per le note più acute o gravi.

La chiave definisce e indica “la lingua” con cui andremo a leggere, e poi ad eseguire, uno spartito. Un paragone più esplicativo potrebbe essere che le note sono come le lettere dell’alfabeto latino (e cioè quello che comunemente usano la maggior parte delle lingue occidentali), ma che le stesse lettere, e combinazioni, cambiano significato secondo la lingua. Altro paragone potremmo farlo prendendo come riferimento i nostri telefoni e la maniera più consueta di scrivere gli SMS, usando lo strumento del T9 e cioè, dopo aver selezionato la nostra lingua di riferimento, il sistema riconosce la composizione di una parola attraverso la combinazione di alcuni tasti e a quelli dà un significato.

Riportando il tutto alla quotidianità, diciamo che tutti noi vediamo e leggiamo la realtà attraverso delle chiavi “di lettura”, che ci aiutano ad interpretare segni e simboli, concetti e preconcetti. La chiave dà l’indicazione di come dobbiamo leggere un testo, un articolo, un’immagine, uno spettacolo, e scoprire che riusciamo a capire il significato di qualcosa universalmente riconosciuta da tutti grazie ad una guida. Ecco, la chiave come una guida!

O.R.

B

Dal “nostro” Dizionario musicale. B come bemolle. Il bemolle (♭) è un’alterazione musicale che indica l’abbassamento di un semitono della nota a cui si riferisce. La “B” nella musica antica corrispondeva alla seconda nota, e cioè al “SI” (si partiva dal LA) ed era l’unica nota che era possibile appunto “alterare”, trasformando la tonalità da maggiore a minore. “Molle” forse perché la forma della “b” ricordava una pancia “molle”, appunto, o forse perché quel suono era associato ad uno più grave, suonato con una corda meno tesa, molle. 

Il bemolle indica un abbassamento della nota a cui si riferisce, l’abbassamento di un semitono che svela però la sua parte più intima e profonda, e provoca a chi la ascolta uno stato d’animo d’abbandono e allo stesso tempo di riflessione. Nel pianoforte è quel tasto nero discendente dopo la nota, quel tasto nero che nella melodia dà subito il senso della introspezione, del tempo interiore, della ricerca, è una nota “trista”, mesta, quasi addolorata. La tonalità da maggiore diventa minore. Sentiamo quella corda più grave, la sentiamo vibrare proprio dentro la nostra cassa armonica. La percepiamo, la registriamo, la rievochiamo. 

Ecco, in un momento di corse e di appuntamenti, di comunicazioni 2.0 e di notizie lampo, tra immagini che vanno da un reality glitterato ad un talent sull’ultima trovata trendy, ecco che assistiamo inermi, quasi come fosse un film, ad un’ecatombe di uomini, le cui voci che non abbiamo sentito, e non sentiremo più, sono note che ci toccano e che risuoneranno per sempre nelle nostre anime. 

Questo editoriale, volutamente sintetico, è dedicato all’anima, soul, a quelle note che si imprimono nel cervello e arrivano nella pancia, a quelle note che ci fanno piangere, e oggi a quelle note di anime fragili, perse senza colpa né giustificazione, nel profondo del “nostro” mare. 

O.R.

RicostruiamolAQ

Foto di Francesca PaoliniDi solito il titolo è l’ultimo elemento che chi scrive mette a coronamento delle proprie parole. Senza dubbio è da considerarsi l’elemento più creativo del pezzo, di cui, se azzeccato, andare fieri. Il titolo che ho scelto stavolta, invece, non è mio, l’ho rubato e ne vado fiera.

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