Lo psichedelico, teatrale e urlato impeto finale: VI serata 2009
Fiabe, sbruffonate e poveri cristi
PITTURA- Paul Vintage, alias Paolo Petrangeli, per comporre le sue visioni si ispira alla vita reale che ama rendere fiabesca ed aneddotica. In “Supereroi” l’artista stesso compare in coppia con la sua migliore amica, in un’auto decappottabile, accompagnati dai loro due cani, pronti a combattere contro tutti, comprese astronavi aliene sputafuoco. In un altro lavoro, “La resa”, l’artista, con un’alta tuba a strisce verdi in testa, è inginocchiato in un bagno da casa delle bambole, sempre in compagnia del suo adorato cagnotto, e getta nel water, con il coperchio a mo’ di lapide, il suo cuore ferito da un’esperienza sentimentale devastante. Come abbiamo detto a lui, dato che l’energia non si distrugge, è possibile che il suo cuore rinvenga in versione zombie e torni potenziato al suo posto nel petto. E poi, fette di torta che crescono sugli alberi, bambine dolcis-sime e cerbiattini, una ragazza “Innocente” con le orecchie da coniglio e un agnellino in braccio, sono elementi del mondo di Paul Vintage, in cui atmosfere favolistiche “raccontate” con finezza di dettaglio e rese con colori smaglianti eppure soavi si immettono di diritto in quel macro-correntone artistico del pop-surrealismo che invade sia i cuori che il mercato in conseguenza, probabilmente, di una lunga esposizione, nell’età infantile, sia degli autori che dei fruitori, ai manga giapponesi e ai cartoni animati anni ’80.
Giuseppe Viscomi ha sviluppato da circa due anni una tecnica basata sull’applicazione su tela di schiuma poliuretanica. Il suo background è l’allestimento scenografico per parchi divertimenti; ha contribuito infatti con sculture e realizzazioni tridimensionali di vario tipo, a realizzare al “Molo 23”, locale attiguo al “Goa”, uno scenario ispirato al film “Gangs of New York”. Ha spesso lavorato utilizzando resine o argilla cotta al forno ma altrettanto spesso le ha imitate, così come il metallo. L’artista infatti è specializzato nella realizzazione di altorilievi, e disdegna tutto ciò che è piatto. Interessanti in chiave pop-surrealism (anche lui!) i suoi teschietti colorati, il cui design è concepito specificatamente per sostituire i più banali pomelli del cambio delle automobili. Con in mente la musica rockabilly, Viscomi si è anche applicato nel “Tuning”, l’arte di modificare su commissione la carrozzatura delle auto personalizzando gli spoiler, ad esempio, o allargando in qualsivoglia maniera l’ampiezza del veicolo. I suoi pezzi esposti, “Fusione tra morte e materia” e “Stoico” (in cui le strisce in rilevo delineano un occhio fiero) sono esperimenti in cui concrèsi di schiuma soli-dificata sono dipinte per farle assomigliare a ruggine o metalli fusi, e tale matericità da industria pesante contrasta con la leggerezza del materiale usato ma non con la virulenza guerriera che ne promana.
Il collettivo di pittori Avanti Avanti X produce con stupefacente e perfino eccessiva fluidità segni-ca ampie tele in cui forme curve, sgocciolature, e pennellate “automatiche” si miscelano in modo imprevedibile a colori vividi e ad occasionali impronte di dita, per produrre un caos anarchico che si compone infine solo al prezzo di uno scalpiccio prolungato anche a piedi scalzi tutto intorno alla tela stesa sul pavimento. L’indisciplina messa in atto in quest’opera di imbrattatura a più mani ha qualcosa di scientifico, ieri sera 2/6/2009, sembrava che non all’Alpheus ma in un serissimo laboratorio un’equipe di pazzi irregimentati dall’Arte con sonori autoincitamenti si gasassero come ricercatori del CNR a caccia di un principio unificatore tra istanze gestuali, echi stellari, fauvismo corrotto e caciara contemporanea. Quando il loro leader, facendo una capriola sulla tela, ha rovesciato un barattolo pieno di diluente acqueo ultratossico colorato, ha subito ricacciato l’inva-dente liquido sulla tela con pedate sferrate sul pavimento nella speranza di riconvertire anche la pozza ad un’opera d’Arte, ma lo ha fatto senza calzini, perchè questi avrebbero potuto assorbire lo 0,1% dell’energia. Le loro opere complete, una volta asciutte, sembrano però ricomposte in una calligrafia da giungla dell’astrattismo cosmico, da provare sulla moquette nuova!
Sandro Esposito, come mi ha rivelato suo fratello Silvio (vedi oltre), nelle vesti anche e so-prattutto di tutore, ha dalla sua parte un formidabile retroscena che spingerà verso vette inacces-sibili ai ferrotramvieri le quotazioni dei suoi quadri: è appena uscito da un periodo di depressione regolarmente curato in ospedale, a seguito di un litigio non ortodosso con il padre, a cui per caso assistè una pattuglia di carabinieri che subito lo incriminarono per “baruffa poco decifrabile”. Noi scherziamo, ma Esposito, anche se è stato assolutamente scagionato dalle accuse, ha subìto, come ripercussione, due mesi di cure psichiatriche, ed ora però, trapiantato d’urgenza in quella gabbia di matti che è il MArte Live, ha sbrigliato i suoi talenti e li ha liberati al galoppo. D’altronde lui era il più bravo nella scuola d’arte del paese della provincia calabra in cui vive, e lo ha di-mostrato dipingendo live due palazzi forse proprio di paese, uno dei quali presenta un terrazzo ed una scalinata in posizioni insolite, forse un accenno di metafisica provinciale in un quadro dipinto con coraggio ad acquerello su tela, con uno stile scapigliato, come testimoniano le chiazze di co-lore che stingono via da un cielo confuso anche sui santi a cui votarsi. In un altro pezzo (ma i lavori migliori pare che siano rimasti a casa), un uomo a torso nudo, tatuato, è incorniciato da un’esplosione a ventaglio di segni ondulati e tremuli e posizionato accanto ad una bandiera italia-na con al centro un altro tatuaggio, al posto del vecchio stemma monarchico.
Silvio Esposito non si è calato nell’agone pittorico del MArte Live con l’intenzione di sbancare tutto, non avendo una specifica preparazione pittorica, come lui stesso confessa, ma si è premu-rato di dipingere live un pianeta terra sospeso sopra una centrale nucleare come se fosse un palloncino sopra un fornello, e collegato invece con un cavo ad un pannello solare. Il medium è la pittura, ma è il messaggio quello che conta, MacLuhan è qui contraddetto apertamente se si accetta la pittura come medium di massa, e alcune volte sembra proprio così. Lo stile è l’incrocio sfacciato tra un naif simbolista ed un surrealismo “brut”. Da approfondire…
Giulia Berti, toscana di Massa Carrara, non si lascia corrompere dalle esuberanze cromatiche o da fantasticherie neobarocche; lei è fermamente ancorata al disegno accademico, con cui misura e definisce i rapporti armonici del corpo umano, sia che si tratti di un nudo visto di schiena, in posa da arciere, sia che ritragga due “Poveri cristi” crocefissi parzialmente sovrapposti. Dal vivo eseguiva su carta trattata, al tratteggio con la matita, una grande mano con indice e medio uniti nel gesto di benedizione. E invece no!! Il titolo è “A-men” nel senso di alfa privativa + MEN, cioè: senza uomini; la mano è una mano di donna che si accinge a fare l’amore da sola. Implicita la critica alla Chiesa, ma anche un’ironia sessuale evidente nella “Donna che scopa”, disegno impeccabile che ritrae la scultura neoclassica di una donna di spalle, che si dà a ramazzare, ovvero a “spazzare via l’uomo”, presente anche lui nella rappresentazione sempre come scultura, di spalle e con materiale di belle arti, una tela, un calco di gesso, etc., ai piedi. Visioni tristissime che dietro la compostezza mostrano il nervo scoperto di una sessualità vissuta per allusioni ma tenuta fuori dal campo visivo. I due “Poveri cristi” sono scritti in minuscolo perchè visti dall’autrice come nient’altro che due omosessuali che s’accoppiano, anche se la posa rigida, pur in assenza della croce, sembra negare il piacere e mostrare invece il loro pubblico linciaggio. Invece, se continua co-sì, la Berti sarà portata in trionfo, al Gay Pride!
(il_7- Marco Settembre)