MArteLive 2008. Inizia l’ottava avventura…
Il_7 su Nick Drake
Con la collaborazione fortuita di Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo (e Simone Cristicchi)
Introdottomi in un camerino stracolmo di amici, parenti, fans e affini, con la presenza di un estroverso di complemento che col suo atteggiamento andava reclamando per sè il ruolo di guastatore, sono riuscito per un quarto d’ora circa ad attirare l’attenzione di Roberto Angelini, e marginalmente, purtroppo, quella di Rodrigo D’Erasmo, mentre Simone Cristicchi sapientemente si defilava con grande eleganza, evidentemente appagato dall’accoglienza positiva riservata a lui e ai suoi due sodali dal pubblico dell’Alpheus per il loro concerto-tributo a Nick Drake. Ma eccovi il risultato di un maldestro tentativo di intervista.
Nelle composizioni del poeta-cantore Nick Drake, la ramificata trama di una chitarra esule fornisce il sostegno per divagazioni sognanti, talvolta riflessioni sul tessuto stinto di certi scorci di vita; altre volte un tappeto di violini si stende partecipe, malinconico ed elegiaco – penso a Way to blue – e la sua maestà sussurrata si spande anche sui lembi più tristi del nostro cuore ondivago. Rimettere tutta questa musica al servizio delle folle vocianti non vi fa sentire troppo poco schivi al confronto del riservato cantautore inglese? O pensate che coltivare l’attenzione verso certe personalità che hanno seminato la loro passione in silen-zio valga come antidoto al distacco?
Non proprio, ma ricordare Nick Drake e avvicinarsi alla sua musica è sicuramente un atto d’amore. Voglio dire che un autore, quando si accosta ad un altro per dedicargli un omaggio, lo fa essenzialmente per sé, perché lo sente, non per diventare una sorta di “tramite ufficiale” di quell’artista. Poi, può anche capitare che, ascoltando uno di questi nostri concerti-tributo, qualcu-no scopra nel 2008 esiste un autore di cui si può ancora dire che è “avanti”, che è stato ed è ancora di ispirazione per molti grandi.
Il vostro album PongMoon esprime la volontà lieve ma persistente di giocare di rimbalzo – appunto pongistico – con le note di Nick Drake, il songwriter prematuramente scomparso e ancora oggetto di culto per molti estimatori dell’acustico. Roberto, pensi che le risonanze cosmiche di questa operazione possano avvertirsi anche usando delle palline da ping pong di pongo (sappiamo che sei un maestro nel manipolare artisticamente quel mate-riale) o che la vostra sensibilità musicale riesca a riplasmare con la dovuta attenzione i brani del cantautore inglese restituendone le atmosfere?
Credo che il lavoro plastico/grafico che ho realizzato per la copertina del disco, anch’essa rivisitata, utilizzando il pongo come materiale scultoreo, rappresenti un altro modo per restare aderenti allo spirito di Nick Drake. Dal punto di vista musicale, poi, il nostro approccio è stato quasi filologico, per quanto possibile. Infatti non esistono registrazioni video delle performance live di Drake, ed è un peccato perché sarebbe interessantissimo ed utilissimo per chi come noi, ha provato a ripercorrerne le tracce; lui ha una musicalità molto raffinata, quasi inaccessibile, sia come chitarrista che come cantante. Sì, in un certo senso abbiamo giocato a ping-pongo con lui, la nostra lettura è stata simile all’originale, ma non ha potuto essere pedissequa e forse in fondo è giusto così.
In Cello song le pizzicate contrappuntano la descrizione di un prezioso arazzo, il cui intreccio di emozioni libere sorvola erbose colline deserte sovrapponendovisi come un drappeggio su amanti freddolosi. Ed il finale è un’eco lontana che riverbera delicati incantesimi. Possibile che tutto questo non riesca a scongiurare la tetra vischiosità della depressione?
Mi verrebbe da risponderti: anzi! A volte la depressione può avere origine da una musica meravigliosa. In molti casi questo malessere oscuro si sviluppa a partire da una patologica sensibilità verso le cose. Per un artista questa qualità può essere addirittura un vanto, così ecco che il passo può essere breve tra scrivere capolavori ed essere depressi.
Nel box set dedicato a Nick Drake e intitolato Fruit Tree è incluso in DVD il film biografico “A skin too few” ed un volume di 108 pagine contenente l’analisi, brano per brano, delle perle di Drake, compiuta dai suoi più prossimi collaboratori. Oltre al disco da voi co-firmato, avete pensato anche ad una registrazione live dei vostri concerti-tributo o magari ad un video ispirato al compositore inglese?
Questo dipende da molti fattori, compreso quello finanziario. Intanto, prima di ogni altra considerazione, dovremmo stabilire se c’è la volontà, la voglia, di ampliare ancor più le dimensioni di questo progetto.
Rodrigo, un approccio partecipe e meditativo può far scaturire da un violino una sorta di tenue mistica dove il simbolismo non si addensa ma fiorisce in aggraziati acquerelli tardo romantici? Dimmi di sì, o aggiungi qualcosa, se proprio necessario. Come e quando hai raggiunto la perfezione tecnica, ad esempio.
Intanto ti dico di sì, perché infatti non c’è molto da aggiungere. Poi, per quanto riguarda la perfezione tecnica, non l’ho mai raggiunta. Quella sessuale sì, però! A parte gli scherzi, direi che la mia tecnica è giunta a maturazione intorno ai 20 anni, quando ho preso il diploma di musica classica.
Roberto, sappiamo che nel Collettivo Angelo Mai siete in molti a fare i polistrumentisti scambiandovi promiscuamente gli strumenti. L’input per questo tipo di pratiche scambiste è venuto per caso a 13 anni quando il fenomenale trombettista Chet Baker, abituale frequentatore di casa Angelini, ti ha convinto a buttar via il pianoforte perché troppo ingombrante e ad abbracciare la chitarra a mò di iniziazione sentimentale, scartando la tromba perché con le sue implicazioni sessuali avrebbe determinato un troppo precoce avviamento al freejazz?
No, di certo l’idea di sviluppare “questo tipo di pratiche”, come dici tu, non mi è venuta di certo in quel periodo, ero troppo piccolo per… godere di queste cose, ah ah (ride n.d.r.)! Direi piuttosto che l’ho metabolizzata 5 anni fa, quando ho pensato che saper suonare tanti strumenti dà la possibilità di capire come suonare meglio il proprio. Se ti rendi conto in modo più approfondito di come si “muovono” gli altri musicisti riesci poi più facilmente a mettere il tuo strumento a disposizione degli altri e quindi dello sviluppo del brano.
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A questo punto l’intervista si è interrotta per cause di forza maggiore, impedendomi così di torturare anche solo per un minuto in più i tre artisti. E, tutto sommato, mi sembra anche giusto che sia stato così.
(Marco Settembre)
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