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Tag: martemagazine

Nonostante tutto e’ sempre Casino Royale

[MUSICA]

I Casino Royale sono tornati in tour da parecchi mesi, in giro per l’Italia intenti nella presentazione di Royale rockers: the reggae session.
Il gruppo ha calcato il palco del Circolo Degli Artisti di Roma il 15 gennaio 2009: ed ha riempito il locale. Non folle oceaniche e gente rimasta fuori, ma ha fatto comunque registrare al botteghino un’ottima risposta di pubblico.

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Jamie Lidell Live

[MUSICA]

Quando sul palco c’è solo un pianoforte, un banchettino con un laptop e un grosso mixer le aspettative non sono poi molte.
In fondo, Jamie Lidell promuove dell’ottimo soul con tanto di coretti gospel, una bella batteria lineare e qualche hammond ben sistemato, niente di più. C’è da dire però, che gli riesce davvero bene.
Ma lì sul palco non c’è spazio per un coro, non c’è spazio per la batteria e per altro, solo due elementi mentre la folla grida e incita l’artista inglese a presentarsi sul palco.

 

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Greenwhich: musica e parole

[MUSICA]

Eccomi finalmente in uno dei luoghi “caldi” della musica dal vivo, emergente e non: il Contestaccio di Roma.
Ci si trova a chiacchierare tra risate, volti folli e musica, ad estraniarsi per un attimo dalla realtà. Così il tempo vola ed è già l’una: è il momento dei Greenwhich. I cinque sorridenti, timidamente salgono sul palco, e senza rendersene conto si sentono le prime note e i primi ritmi a riscaldare l’ambiente.
Si inizia con un bel pezzo strumentale che svanirà all’improvviso bloccato dalle parole della cantante, Francesca Xefteris: ”Il check è finito, possiamo iniziare”.

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Gli occhi di Piero

[TEATRO]

«Piero Bruno è un ragazzo che ha sempre 17 anni».
Queste parole taglienti come la lama di un coltello in una ferita che non si è ancora rimarginata fanno da filo conduttore a tutta la rappresentazione teatrale Gli occhi di Piero – storia di Piero Bruno, un ragazzo degli anni ’70, di Massimiliano Coccia e Fabrizio Giannini, per la regia di Marco Simeoli. A raccontare la vicenda è un poliedrico Fabrizio Giannini che si sdoppia per interpretare un padre e un figlio, entrambi portieri di un palazzo in via Ludovico Muratori, zona tristemente legata all’omocidio.

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Stravagante stravaganza

[TEATRO]

Per cinque serate, dal 21 al 25 gennaio, il palcoscenico del Rialto Sant’Ambrogio è stato il regno de La Stravaganza, spettacolo con cui la Compagnia Psicopompo ha segnato il debutto nazionale dell’autore argentino Rafael Spregelburd.
L’opera rappresenta il secondo capitolo dell’Heptalogya de Hieronymus Bosch – ispirato alla tavola dei sette vizi capitali del pittore fiammingo – in cui il drammaturgo propone una rivisitazione della cartografia morale cattolica, sostituendo ai peccati della tradizione quelli ritenuti più rappresentativi della società contemporanea: L’Inappetenza, la Stravaganza, la Modestia, la Stupidità, il Panico, la Cocciutaggine e la Paranoia.

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Border-Love: tra fetish e surreale

[ARTI VISIVE]

Voglio un amore doloroso, lento, che lento sia come una lenta morte, e senza fine, voglio che più forte sia della morte e senza mutamento”.
I versi di Gabriele D’annunzio si schiudono ad un’arte immaginativa, che travalica i confini temporali scanditi dal limite umano, per mettersi in mostra quando all’arrivo della primavera i sensi cercano con ogni impulso di uscire dalle tenebre, per celebrare il giubileo del colore e di un amore nutrito e protetto nel ventre come una creatura in un grembo materno.

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Quel Cinema fatto di Illusioni

[CINEMACITTA’]

Alessia_GrassoiOgni grande numero di magia è composto da tre atti: la prima parte viene chiamata la Promessa, l’illusionista ti mostra qualcosa di ordinario, un mazzo di carte, un uccellino o un uomo; ti mostra questo oggetto, magari ti chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, inalterato o normale, ma ovviamente è probabile che non lo sia.
Il secondo atto è chiamato la Svolta, l’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto ma non lo troverete, perchè in realtà non state davvero guardando, voi non volete saperlo, voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite, perchè far sparire qualcosa non è sufficiente, bisogna anche farla riapparire. Per questo c’è sempre un terzo atto, il più arduo, ciò che viene chiamato il Prestigio, dove succede l’inaspettato e si assiste a qualcosa che non si era mai visto prima d’ora
.”, ogni Mago conosce i suoi trucchi, il sistema migliore per toccare le debolezze visive di noi spettatori, rendendoci come dei veri e propri burattini nelle loro mani.
Il nostro caro Michael Caine ne sa qualcosa, perché è lui che in The Prestige si elegge come primario narratore, introducendoci negli oscuri meandri dei trucchi di prestigio, nella rivalità tra i due illusionisti Hugh Jackman e Christian Bale.The Prestige, diretto dal “cavaliere oscuro“ Christopher Nolan, è solo il primo di una serie di pellicole che tratta un tema così affascinante come quello dell’illusionismo, basato sul l’omonimo romanzo di Christopher Priest.

E se ci pensiamo bene, l’illusionismo in sé, posto su un grande schermo, si lega inevitabilmente a quella che è l’arte cinematografica.
Il paragone si fa palese e necessario, perché il cinema come una magia si fa gioco di noi spettatori, pronto ad uscire, d’improvviso, i suoi colpi di scena migliori: ed è così che, la spiegazione di Caine circa i grandi numeri di magia, si confonde con il potere della pellicola stessa, capace di dividersi in tre unici atti.
Peccato che, simili lungometraggi, non interessino spesso il comune spettatore, non almeno quanto i veri spettacoli di magia dal vivo: perché The Prestige, seppur possegga una regia impeccabile, non è stato in passato premiato, risultando un vero flop quanto il suo acerrimo rivale The Illusionist.
L’illusionista, diretto da Neil Burger, presenta un cast di tutto rispetto: dal nostro amato Edward Norton, al “Man In The Water” Paul Giamatti, fino al poco ed ingiustamente considerato Rufus Sewell (quando invece sarebbe perfettamente dimenticabile una Jessica Biel), rinchiuso nei soliti ruoli di cattivo-insulso, ben lontano dal gotico Dark City del ‘98.

I due film, a loro modo, hanno cercato di riportare a galla quel genere che Orson Welles, nel lontano 1974, rese un vero e proprio collage artistico, con il nome di F for Fake.
L’ultima opera di Welles ci mostrò come il cinema stesso non fosse altro che un’intera illusione, tramite le proprie maschere, i propri giochi d’astuzia e quei racconti che si distanziavano così tanto dalla realtà di tutti i giorni.
Welles era il nostro illusionista per eccellenza, che fin dai tempi di Citizane Kane (Quarto Potere), portò lo spettatore a perdersi nei suoi piccoli giochi di prestigio, tra montaggi, luci e percorsi narrativi degni di un vero mago professionista.
Perché è spesso difficile parlare di illusioni in un’illusione stessa come il cinema e pellicole come The Prestige e The Illusionist, si assumono il compito non solo di narrare le vicende drammatiche di una serie di personaggi ma anche di trasformare il racconto in una metafora vivente della menzogna e della distorsione della realtà.

A quanto pare un obiettivo molto diverso da quelle pellicole che, invece, tentavano semplicemente di narrare le vicende di grandi prestigiatori come “Houdini”, in assoluto il più gettonato con l’ultima delle pellicole del 2007 diretto da Gillian Armstrong e con protagonisti Guy Pearce e Catherine Zeta Jones, dal titolo Death Defying Acts, ovvero Houdini, l’ultimo mago.
Un corpo diviso a metà, una persona che sparisce dentro una cassa e conigli che saltano fuori da lucidi cilindri neri, sono ciò che ci avvicina di più al desiderio del paranormale.
Ma ciò che ci viene sempre ricordato è che un trucco di magia è sempre basato sulla scientifica razionalità e va ben lontano dalle magiche fantasie che fanno sorridere così tanto i bambini: c’è sempre una spiegazione più che plausibile nei numeri mostrati al pubblico e l’unica astuzia possibile è quella di ipnotizzare lo spettatore secondo il proprio volere.
Che sia realtà o finzione, razionalità o magia con tanto di bacchetta fatata, quello che piace a noi è sognare oltre ogni limite d’immaginazione, spalancare la bocca e stupirci di fronte all’impossibile, cercando una spiegazione che per noi non esiste.
E’ di questa materia che è fatto il cinema stesso e che tratti o meno del tema stesso della magia e dell’illusione, ci lasciamo abbindolare dalle sue storie e dai suoi scioccanti colpi di scena.

Quel pasticciaccio brutto chiamato magia…

[STRIP-TEASE: FUMETTI MESSI A NUDO]

diegociorraImmaginate di dover fare un censimento dei personaggi magici apparsi in una storia a fumetti: domani mattina vi trovereste una coda fuori la porta lunga da qua alla Cina. E non in fila indiana, ma a due a due!
Il punto è che parlare di magia significa dire tutto e niente, vuol dire includere quella bianca, quella nera, gli animali parlanti delle favole, gli amuleti che trasformano ragazzine acerbe in ammiccanti cantanti da disco d’oro, i regni fantasy e i demoni dei gironi infernali, che di sicuro non sono scienziati.

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