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Jamie Lidell Live

[MUSICA]

Quando sul palco c’è solo un pianoforte, un banchettino con un laptop e un grosso mixer le aspettative non sono poi molte.
In fondo, Jamie Lidell promuove dell’ottimo soul con tanto di coretti gospel, una bella batteria lineare e qualche hammond ben sistemato, niente di più. C’è da dire però, che gli riesce davvero bene.
Ma lì sul palco non c’è spazio per un coro, non c’è spazio per la batteria e per altro, solo due elementi mentre la folla grida e incita l’artista inglese a presentarsi sul palco.

 

Al suo posto un giovane sbarbatello che ci delizia con una mezz’ora di pura musica elettronica: si dimena davanti al suo apple, pigia tasti e muove manopole che in pochi riescono a vedere; l’audio è bassissimo, i bassi sono poco incisivi, il pubblico freddo e disattento, la prestazione ne risente, sarebbe stata da eseguire dopo il concerto, si sarebbero scatenati tutti.
S’è fatto tardi, sono le undici e quaranta e il palco è di nuovo deserto, ancora fischi ed urla, la sala è davvero straripante, piena di stranieri- Erasmus già al bancone del bar pronti ad ingollare birra a fiumi. Poi le luci s’abbassano e le scarpe anni ’40 di Lidell sono sul palco, entra, stringe la mano alle prime file, l’applauso è lungo, Jamie è conosciuto, non ci sono dubbi.

Da quel momento la serata cambia, tutta la sala viene investita da un sound massiccio e penetrante, la voce di Jamie Lidell, il suo beatbox, i suoi campionamenti al grosso mixer cambiano tutto, è festa, gioia, emozione.
Parte con una timida “Game for Fools” piano e voce, tanto per scaldarsi, pochi cantano ma tutti ascoltano in religioso silenzio; prosegue dirigendosi verso il banchetto pieno di cavi ed inizia a riscaldarsi anche lì: campiona un sonaglietto e un po’ di grancassa creata battendo il microfono sul tavolo: sarà la base di “Wait For Me”; è proprio in quel momento che tutta la sala si rende conto delle potenzialità dell’artista e della serata, partecipano tutti più generosi battendo il tempo con le mani, battendo i piedi, accennando qualche passo di danza e Jamie coglie questi piccoli segni: incita tutti al controcanto e quando la canzone sembra finita ricominciano i campionamenti; si passa dal soul alla dance, dalla dance alla techno, dalla techno all’elettronica senza perdere un colpo. Tutti ballano estasiati.
Mai visto nulla del genere al Circolo degli Artisti.
Le canzoni si fanno tutte dilatate, sono scelte con cura, centellinando le emozioni. Lidell si muove sicuro e rapido, non ce n’è per nessuno.
Reinterpreta tutto quello che ha mai prodotto, saltando da Multiply a Jim con eleganza, mixando, a volte, le canzoni tra di loro.

Ci sono però due pecche che hanno sporcato lievemente la performance: la scelta di suonare determinate canzoni con la base totalmente estrapolata dal cd a mo’ di karaoke ed eseguire la lentissima “Rope of Sand” a metà concerto. Entrambe le cose hanno solo spezzato quell’alchimia che con molti beat vocali s’era creata tra il cantante e gli spettatori: una volta intrapresa la strada del campionamento live e del totale arrangiamento modificato si sarebbe dovuto continuare a battere su quel ferro, finché caldo.
Ciò non toglie che la qualità è stata talmente alta che, una volta usciti, ci si rendeva conto con leggerezza di aver assistito a poco meno di un’ora di concerto. Certo, per 20 euro ci si poteva sprecare di più, ma probabilmente, siamo stati davvero in pochi a pensare a questo, ma ormai dopo il fast-food, è il momento della fast-music, non c’è dubbio…

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