Immagino che abbiate tutti, come me, uno zio (o una zia) che negli anni ’60 e ’70 si recava in religioso pellegrinaggio a Londra, di tanto in tanto, per portarsi a casa i preziosi dischi con le ultime canzoni dei Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd e compagnia cantante.
Non è impresa facile al giorno d’oggi fare colpo su una ragazza, magari al primo appuntamento. I ragazzi lo sanno bene che inviare fiori a casa o organizzare una cenetta romantica in un ristorante alla moda, non basta più, anzi si rischia addirittura di cadere nel banale. Allora la ricerca dell’originalità innanzitutto diventa per molti una priorità imprescindibile.
Rieccoci qui per la terza ed ultima parte dell’evento Spariti, dello spazio sociale Centocelle aperte. Siamo partiti dalla controversa provocazione verso l’idea collettiva del termine “Mafia”, all’esperienza devastante dei manicomi Italiani ed ora approdiamo nel film che, con tutta probabilità, è l’emblema assoluto di questa rassegna.
All’ingresso nella stanza vengo immediatamente colpito dal tratto fortemente espressivo delle tavole di Thomas Bires. Per sostenere i testi secchi, quasi cronistici, di Dario Morgante, il pittore romano ha scelto di ispirarsi ad un album fotografico, e ha sovrapposto figure umane ai diversi sfondi, ora cartine geografiche, ora scene di gruppo o dettagli di carneficine…
“Solo dopo aver compiuto un’azione se ne può analizzare il movente” (Jean Le Malchanceux)
Mi sono imbattuta quasi per caso nel catalogo di Edizioni Clandestine e sono rimasta fortemente attratta da questo volume un pò fuori dagli schemi. Mi ha incuriosito la presentazione, il sottotitolo (la vera storia della più grande truffa editoriale) e sebbene si tratti di un libro uscito in Inghilterra nientemeno che nel 1977, ma pubblicato per la prima volta in Italia da E. C. solo nel 2008, mi sono sentita in dovere di leggerlo.
In “Voce” dei Kobayashi un’ariosa ma grave litania strofinata sull’opale d’una chitarra solista lustrata a lucido sembra mettersi dalla parte di quella voce che ce le cantava anche se sembrava parlasse usando parole d’amore: “ascoltala, è perversa, ed entra nei tuoi sogni“. Che si doveva fare, si doveva fuggire, o avremmo dovuto pensarci ancor prima di conoscerla?
In via del Fiume 10 A, una traversa di via di Ripetta in Roma, vicino all’accademia delle Belle Arti c’è un piccolo spazio legato ancora al modo antico di fare arte. Barbara Medori ci ha invitati a conoscere la sua bottega d’arte, e ci accoglie assieme a Maria Grazia Moretti che condivide con lei lo spazio artistico e la sua passione, ma soprattutto la verve positiva verso il futuro.
Prologo: intro per cercare di provocare ed indurre nell’audience inerme una lieve forma di panicus tremendz. Il panico tremendo, tipo la scossa verte- cerebrale che scuote l’umano essere nel millesimo di secondo successivo a quello in cui gli è appena caduta, dormendo, una cosa dal letto. Una cosa. Il telecomando generalmente per i più ignoranti che ancora vedono la TV sotto le coperte. Comunque una cosa dura e che funzioni a pile. O senza pile. Questo signore e signori è il prologo, la presentazione di se stesso di Stanco.
La letteratura di viaggio (e non da viaggio che è tutta un’altra cosa) è sempre stata una porzione del settore che ha interessato principalmente i viaggiatori indefessi, o i sognatori: coloro che non potendo permettersi di mollare tutto e andarsene in giro per il mondo, riescono a costruirsi i loro viaggi, volando con la fantasia, laddove i piedi o il portafoglio non possono arrivare. Altra cosa le guide turistiche, unico mezzo di sopravvivenza nei luoghi lontani. Eppure bisognerebbe ascrivere alle categorie sopra menzionate, un altro tipo ancora di letteratura di viaggio: quella dove il viaggio avviene più o meno dichiaratamente tra le righe, dove la cronaca è quella del viaggio personale, dove le esperienze raccontate sono quelle di vita vissuta dall’autore stesso. Mi sono capitati tra le mani proprio due libri, nell’ultimo periodo, che mi hanno fatto riflettere proprio su questa tipologia alternativa di letteratura di viaggio.
Uscendo dal Teatro Palladium di Roma a notte inoltrata, dopo essermi goduto le prime ore di proiezione dei corti d’animazione in concorso a Cortoons, in mente facevo considerazioni sugli aspetti positivi di una rassegna del genere, come il fatto che restando in sala tre ore avevo potuto scoprire decine e decine di artisti diversi, con stili distanti tra loro, ed appassionarmi seppur per una manciata di minuti ogni volta, a storie e personaggi sempre diversi. Quando la mattina dopo sfogliando il giornale, ho più volte letto riferimenti a Twitter, l’ultima social-moda di internet, un microblog in cui si lanciano Ansa su se stessi di massimo 140 caratteri, la mente è di nuovo volata al Festival Internazionale di Cortometraggi d’Animazione a cui avevo partecipato: messaggi corti, animazioni corte. Non poteva essere una coincidenza.
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