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Speculazioni d’artista

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il7Al Museo Carlo Bilotti, presso l‘Aranciera di Villa Borghese si è conclusa il 4 Ottobre 2009 la mostra Speculazioni d’artista – Quattro generazioni allo specchio, un excursus filosoficamente stimolante che si snoda attraverso differenti interpretazioni sul tema dello specchio.

L’esposizione, curata da Augusta Monferini, Grazia Tolomeo e Alberto Dambruoso, ha offerto allo spettatore, sia questo un appassionato, sia un curioso, sia un vanitoso che si specchia in continuazione anche sulle vetrine del negozio di alimentari, una lettura plurima delle funzioni di questo oggetto a cui si attribuiscono origini mitiche.
Si è potuto così proporre alla riflessione anche degli spettatori della sit-com della Marcuzzi una serie di declinazioni del tema che svariavano dall’angolatura simbolica all’estetica, dalle opere di profilo concettuale a quelle che insistono sull’aspetto percettivo-psicologico.
La selezione degli artisti abbraccia un periodo che va dagli anni ’60 ai giorni nostri, e questa scelta ovviamente si spiega con il ritorno, a partire proprio dal decennio della controcultura, a prassi e a tematiche che si ricollegavano più o meno strettamente alle prime avanguardie del Novecento e particolarmente al dadaismo e al surrealismo, dopo un paio di decenni trascorsi nel segno dell’informale e del gestuale. Si ricorderà che Marcel Duchamp, con l’opera il “Grande Vetro” del 1915-23 utilizzava lo specchio per sperimentare un gioco tra la terza e la quarta dimensione che si risolveva in un rimpallo infinito di interpretazioni, tanto da far supporre che l’artista volesse far perdere la trebisonda ai critici d’arte sottraendogli argomentazioni e rifacendogli il verso. D’altronde, come si accennava poco sopra, lo specchio è stato un’invenzione di Efesto, il dio del n2237-M.Collishaw_Vanitfuoco, dei metalli e della metallurgia, che lavorava con i Ciclopi come assistenti, nel cuore dei vulcani, da cui il suo nome latino. Lo zoppo, ma geniale figlio di Era, era capace di qualunque miracolo, nelle sue fucine, tanto da ricavare lo specchio dal metallo; secondo il mito, il primo specchio fu una superficie metallica riflettente grazie a cui gli antichi scrutavano la volta celeste, mentre con gli specchi ustori proposti da Archimede come temibile arma bellica lo specchio tornava ad associarsi al fuoco da cui era nato. Nella pittura del Cinquecento, viceversa, lo specchio era visto al servizio della bellezza femminile, e nei secoli successivi come moltiplica-tore illusionistico di spazi nei corridoi sontuosi delle grandi residenze regali.
Ce n’è abbastanza per “riflettere” e magari restare fissati sul riflesso o sprofondarvi dentro, come la Alice di Lewis Carroll, alla ricerca di una linea di demarcazione univoca tra verità ed inganno che lo specchio promette senza convinzione, essendo stato usato da generazioni di negromanti e sciamani per evocare morti e fantasmi o per dimostrare la natura non reale di certe apparizioni, quelle dei vampiri (ma esistono teorie opposte).

A proposito di punti di vista diversi: la “Tecnostruttura speculare ad elementi quadri” di Getulio Alvieri è costituita da una piramide di elementi metallici forati poggiata su uno specchio; essendo ogni elemento rivestito all’interno di verde e rosso, la piramide sembra verde a guardarla in su-perficie, e rossa osservandola nello specchio; se chi la vede verde è un fanatico leghista, spac-cherà lo specchio per dimostrare di avere ragione.

Non citeremo qui tutte le opere ma una menzione la merita il seminale esercizio concettuale di Tano Festa che reca in basso la scritta SPECCHIO, stampigliato col colore grigio argento, lo stesso colore con cui è ricoperta, con pennellate casuali, tutta la superficie specchiante, riducen-do anche questo strumento “magico” al valore di “semplice” oggetto artistico, con una materialità artigiana fatta di supporto e colore che nega ogni supposta metafisica così come l’arte moderna rifiutava ogni illusionismo naturalistico.

Michelangelo Pistoletto in “Broken Mirror” da uno specchio con tanto di pesante cornice classica ha distaccato con un taglio netto, l’angolo in basso a sinistra, compreso lo spigolo della cornice lasciandoci immaginare l’atto chirurgico di chi vuole distaccarsi forzosamente da qualcosa che non vuole sia parte del suo tutto perchè teme se ne possa estrarre un riflesso distorto. Come quando qualcuno (…) smentisce una propria dichiarazione rilasciata alla stampa.

Nel “Mirror” di Maurizio Donzelli, un dittico del 2009, uno specchio che sembra una strana lente scherma una composizione di linee ondulate e lingue di carta sollevate, un gruppo delle quali colorate, con il risultato di una visione indecifrabile e diafana, una trama dell’assurdo percepita a fatica attraverso la cateratta malata di un ingegnere alieno ricoverato al Policlinico di Plutone.

“El Vecino” di Leandro Erlich, anch’essa del 2009, è un’installazione composta da una finta parete di mattoni in cui si aprono due finestre. Chi scrive si è affacciato in una, mentre all’altra c’era una coppia di visitatori con l’atteggiamento di chi vuole visitare un appartamento prima di prenderlo in affitto. Ebbene, all’interno della casa, per un gioco di specchi, ho visto una stanza vuota delimitata da altre tre pareti in ciascuna delle quali erano visibili due finestre dalle quali mi osservavano altri me stesso (A) ed altre coppie (B) secondo lo schema A-B-B-A-A-B. Ho pensato che non avrei voluto abitare quella casa esposta agli sguardi dei miei sosia e di quelle coppiette, perciò smisi di fare il guardone del nulla e lasciai alla coppia la eventuale decisione di imma-ginare di  scambiarsi effusioni lì dentro sotto lo sguardo dei loro doppi, presi da vertigine ca-leidoscopica da “L’anno scorso a Marienbad”. L’altro che ci piace spiare siamo noi, o è antropo-logicamente uguale a noi e gli piace spiarci? Comunque è il nostro vicino o è un Grande Fratello conservato sotto vetro e mandato in onda?
Ecco che a distanza di cinquant’anni lo specchio si apre sul mondo diventando l’enigmatico ma anche ironico contraltare di una realtà beffarda, rimandata, per giunta, al rovescio.

Mat Collishaw con “Vanità” propone una trappola percettiva: lo specchio inizialmente sembra normale, il visitatore viene indotto a guardare normalmente la propria immagine, ma lentamente scopre che dei pesci circolano nello spazio oltre il vetro, proprio al centro; poi questi cedono il posto ad un teschio grigiastro circumnavigato da una creatura acquatica mostruosa, simile allo scheletro vivente e giallo-verdastro d’una sogliola maledetta. Ecco la punizione; per un attimo mi n2232-F.Viale_Aereiero sforzato di trovarmi non troppo diverso da quando avevo vent’anni, e invece mi piombano in faccia i mostri!

Fabio Viale più lietamente ha proposto due specchi a parete disposti ad angolo retto su cui erano attaccati dei mezzi aeroplanini simili a quelli di carta, ma fatti di marmo bianco. Osservando l’o pera da una congrua distanza, si constatava come gli specchi completassero i mezzi aeroplanini con il loro riflesso restituendo la visione di uno stormo di aerei bianchi su uno sfondo luminoso e trasparente, la suggestione era di una flottiglia di sogni leggeri realizzati grazie ad un fato benigno che si affaccia fuori dal Paese delle Meraviglie.

Alighiero Boetti nel 1975, invece, con “Specchio cieco” si è autoritratto davanti allo specchio con gli occhi chiusi. L’immagine è fotografica ed in bianco e nero, immagine severa e contestataria di chi rifiuta l’illusione preferendo concentrarsi sull’interiorità e sulle riflessioni tutte mentali che si agitano nella mente invece di chiudersi nello specchio. O viceversa?
In una rappresentazione della Prudenza datata 1640, non presente in mostra, compare solo lo n2234-A.Boetti_Specchio_ciecospecchio, nella consueta forma ovale, con all’interno altri due piccoli specchi situati ai lati. Al centro di tutti e tre gli specchi vi è un serpente attorcigliato e coronato; il più grande dei tre ha come piedistallo una clessidra e sulla fascia superiore dell’ovale campeggia il motto latino “Quae fuerint / Quae sint/ Quae mox ventura trahantur” (“[Le cose] che potrebbero essere state / Che potrebbero essere / Che stiano per avvenire”).
Per esorcizzare questa immagine che forse infesta tutto l’arco del Tempo a nostra disposizione una mente limpida e trasparente potrebbe rispolverare l’arma formidabile che i bambini di qualche generazione fa usavano per rintuzzare il piccolo bullo che gli indirizzava qualche insulto gratuito, ovvero la frase: “Specchio riflesso!”, che rimandava al mittente l’ingiuria! E, quanto ai serpenti: “Non m’hai fatto niente, faccia di serpente!”

La mostra è stata promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Il_7 – Marco Settembre

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