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Scary Stories to Tell in the Dark: Del Toro produce, Øvredal dirige, ma la scrittura?

Le storie più le raccontiamo più diventano vere e ci rendono ciò che siamo. Scary Stories to Tell in the Dark, film tratto dalla serie di libri di Alvin Schwartz, parte da un presupposto che non possiamo ignorare, soprattutto in un periodo in cui l’equilibrio tra realtà e finzione si fa sempre più labile. Seppure il nuovo film diretto dal regista norvegese André Øvredal, habitué dell’horror, sia ambientato ben 50 anni fa, il quesito non cambia, anzi genera un parallelismo estremamente attuale tra due realtà politiche inquietantemente simili. Gli Stati Uniti di Nixon e del Vietnam e quelli attuali, di Trump, della Turchia e della Corea.

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Edward Norton tra narcisismo e talento: la recensione di Motherless Brooklyn

Scelto come film d’apertura della 14esima Festa del Cinema di Roma, Motherless Brooklyn è un film destinato a far parlar di sé, soprattutto per la presenza strabordante di Edward Norton in veste non solo di attore protagonista ma anche di sceneggiatore e regista. Nel mondo di Hollywood, si sa, Norton non è mai stato un attore facile con cui collaborare, a causa di un pessimo carattere e di un’inarrestabile smania di controllo. Non è infatti un mistero che il suo lunatico personaggio in Birdman (che gli è valsa la terza candidatura all’Oscar) sia ispirato proprio a lui. Dopo alcuni anni di latitanza dalla scena decide dunque di risolvere il problema a modo suo, producendo, adattando, dirigendo e interpretando un film letteralmente Norton-centrico che si ispira al bestseller di Jonathan Lethem.

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Thanks! La dissacrante commedia teatrale di Gabriele Di Luca stupisce anche al cinema

MArtePress

Poteva essere un disastro. Poteva, ma così non è stato. Gli adattamenti dal teatro al cinema sono spesso molto rischiosi, soprattutto quando lo si fa per la prima volta. L’esperimento portato avanti dal regista, drammaturgo e attore Gabriele Di Luca e dalla sua compagnia Carrozzeria Orfeo con il film Thanks! risulta però molto ben riuscito, seppure con diverse criticità.

La trilogia composta da Thanks for Vaselina (2013),Animali da bar (2015) e Cous Cous Klan (2017)  è stata una delle più apprezzate e valide proposte teatrali degli ultimi tempi, con tour che girano l’Italia senza sosta. Un mix sapiente di comicità, elegante volgarità e spietata analisi sociale che la compagnia nata ormai dieci anni fa ha saputo replicare con sempre maggiore consapevolezza.

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La mafia non è più quello di una volta: il documentario capolavoro di Franco Maresco

Il lettore mi perdoni l’uso della prima persona per questa recensione, ma chi scrive non può far finta di non essere nato e cresciuto a Palermo mentre prova a raccontare le emozioni offerte dal suo concittadino Franco Maresco nello splendido documentario La mafia non è più quella di una volta. Vincitore del Premio speciale della giuria a Venezia 76, il film di Maresco è piombato come un fulmine a ciel sereno sul pubblico, sui critici e sui giurati della Biennale, rivelandosi come una delle opere più rilevanti di tutta la Mostra.

Seppure in perfetta continuità con i lavori passati (da solo o in duo con il sodale Daniele Ciprì), e in particolare con il precedente Belluscone – Una storia siciliana (Premio della giuria nella sezione orizzonti e Miglior Documentario ai David), di cui rappresenta di fatto una sorta di seguito morale, questo ultimo documentario è un passo ulteriore nella sua filmografia, che brilla per coerenza, lucidità di visione e messa in scena. Evidentemente, il grande successo di Belluscone, nonostante le molte problematiche nella produzione, ha dato una maggiore consapevolezza artistica a Maresco. Sicuro dell’efficacia sia della materia trattata che della modalità con cui raccontarla, il regista si è buttato con determinazione su questo nuovo progetto, alzando l’asticella sotto tutti i punti di vista.

La mafia non è più quella di una volta ci riporta nel 2017, alla celebrazione del 25ennale delle stragi di Falcone e Borsellino. L’intero film ruota intorno alla contrapposizione di due realtà, rappresentate da due personaggi antitetici: la celebre fotografa d’inchiesta Letizia Battaglia e l’organizzatore di eventi di piazza Ciccio Mira, già protagonista di Belluscone. Intorno a queste due figure ruotano due diversi eventi di celebrazione: quello che tutti conosciamo, con le navi della legalità, le parate e la visita delle istituzioni; e un evento nascosto, un concerto di neomelodici di cui personalmente non avevo mai sentito parlare perché dedicato principalmente agli abitanti dello ZEN, quartiere popolare palermitano celebre per l’alto tasso di criminalità.

letizia battaglia

Ed è proprio nelle sequenze dedicate agli abitanti dello ZEN che l’anima più pura di questo film viene fuori. Emerge, infatti, uno spaccato di anti-legalità che impressiona per quanto sia ancora legato a modalità omertose di avversione aprioristica verso la res publica. Mentre infatti la mitica Letizia Battaglia incarna quella Palermo che ha vissuto e sofferto le stragi degli anni ’80 e ’90, e che ora guarda al passato come a un tragico ma inevitabile passaggio nella crescita della nostra società, Ciccio Mira guarda al passato con nostalgia, quella stessa nostalgia che si evince dalla frase che poi è diventata il titolo del film: “La mafia non è più quella di una volta”. Non è più potente come lo era in passato, non è più influente, intoccabile, ma è comunque presente, nelle strade della Sicilia e nella mente dei palermitani dei quartieri popolari.

Ciccio Mira si merita dunque il bianco e nero con cui Maresco lo ritrae per tutto il film (a volte scolorendo solo lui in post produzione): è un personaggio fuori dal tempo, ancorato al passato, e che vive il presente con colpevole e distaccata incoerenza, totalmente incapace di rendersi conto della totale insensatezza delle sue azioni: come cercare nel Presidente Mattarella, suo conoscente di gioventù, la grazia per un parente in carcere, oppure organizzare un concerto a favore di Falcone e Borsellino in una piazza dove è ancora vietato mostrare alcun segno di avversione alla mafia. I suoi artistucoli da piazza ne sono la controparte più grottesca. Privi di talento, privi di coscienza sociale e individuale, questi cantanti neomelodici vivono inseguendo un ideale di popolarità vuota, ancora più drammatica perché affonda le radici in una povertà senza vie di uscita.

Al termine della proiezione, a prescindere dalla complessità meravigliosa e dalla perfezione cinematografica insita in ogni singola scena, mi sono sentito incredulo e stravolto per essere entrato a contatto con una realtà che per decenni ho solo sfiorato senza mai capirla veramente. Al rinato rispetto verso Franco Maresco, Letizia Battaglia, Pino Maniaci e verso chi fa della lotta alla mafia il suo pane quotidiano, ho sommato una consapevolezza nuova, tragica, che mi farà vedere la mia città con occhi nuovi. D’ora in poi, quando sentirò tremare le finestre della mia casa di Palermo (che si trova a poche centinaia di metri dallo ZEN) a causa di una macchina che passa con la musica neomelodica a palla, non potrò più ridacchiare e far finta di niente. Maresco, con questo film, ha privato noi palermitani della possibilità di ignorare gli aspetti più nascosti della nostra città e, di conseguenza, di noi stessi.

Ero filo di Agave: direzione amore? Seguire le Uscite di Emergenza.

Barbara Fiorenzola

 

Un cartello bianco che recita ”Ascolto storie d’amore gratis” accoglie il pubblico all’ingresso del Teatrocittà, a Roma.

Seduti in poltrona o in piedi nel foyer gli spettatori si aprono all’invito dei danzatori della compagnia Uscite di Emergenza, che in una sorta di abbraccio sostengono la scritta intenti a catturare racconti di vita per lasciarsi ispirare dal sentimento protagonista della serata: l’amore. Quale data migliore per mostrarsi alla platea se non quella dedicata agli innamorati? È proprio la sera del 14 febbraio scorso infatti che va in scena Ero Filo di Agave, spettacolo di danza contemporanea ideato e creato da Davide Romeo, coreografo della compagnia, che ne ha curato la regia e la coreografia, col sostegno di MarteLive, e il disegno luci insieme a Giovanna Zanchetta.

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Management I Love You (forse)

 

I Management del dolore post-operatorio il 28 aprile scorso hanno pubblicato il loro terzo album, prodotto da Giulio Ragno Favero per La Tempesta Dischi. Il titolo, “I Love you”, prende spunto dall’omonimo film di Marco Ferreri  dove il protagonista, stanco del suo rapporto con le donne, si innamora di un portachiavi con la forma di un volto femminile che al suo fischio risponde dicendogli “I love you!”. Le tracce confezionate dall’ensemble abruzzese sono 11 e diciamo subito che sembra un album di cover autoreferenziale dove la scrittura è al centro dei componimenti, con delle interessanti liriche sul nichilismo di Luca Romagnoli e soci.   Due testi sono di altri autori: “Scrivere un curriculum” è tratto dalla poesia del premio Nobel Wislawa Szymborska, mentre “Il mio giovane e libero amore” è tratto da uno scritto anarchico del 1921.

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Gran Torino: Albero e Terra

La voce calda e potente di Daniele Berni e il ritmo incalzante delle chitarre di Marco Paradisi sono i primi ingredienti della musica dei Gran Torino che colpiscono, tanto da dover scomodare band come Soundgarden o Alter Bridge per dare un’idea del paragone.

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