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Scary Stories to Tell in the Dark: Del Toro produce, Øvredal dirige, ma la scrittura?

Le storie più le raccontiamo più diventano vere e ci rendono ciò che siamo. Scary Stories to Tell in the Dark, film tratto dalla serie di libri di Alvin Schwartz, parte da un presupposto che non possiamo ignorare, soprattutto in un periodo in cui l’equilibrio tra realtà e finzione si fa sempre più labile. Seppure il nuovo film diretto dal regista norvegese André Øvredal, habitué dell’horror, sia ambientato ben 50 anni fa, il quesito non cambia, anzi genera un parallelismo estremamente attuale tra due realtà politiche inquietantemente simili. Gli Stati Uniti di Nixon e del Vietnam e quelli attuali, di Trump, della Turchia e della Corea.

Si percepisce lo sforzo di mandare un messaggio parzialmente politico, una visione del mondo che innalzi l’opera oltre il genere di appartenenza, quel classico teen horror che però fa capolino nella maggior parte delle scelte narrative. I cliché alimentano infatti l’intero film: un gruppo di ragazzi sul finire dell’adolescenza visitano una casa infestata e si imbattono in un’entità che li perseguiterà fino alla (presunta) morte, uno dopo l’altro. L’oggetto magico al centro della vicenda è un quaderno sul quale si imprimeranno, come dei veri e propri racconti dell’orrore scritti da una mano spettrale, le tragiche vicende dei protagonisti. La trama, la gestione dei colpi di scena e dei personaggi è ciò che di più lineare, diciamo anche scontato, si possa immaginare, un calco di tantissime cose già viste, in ultimo IT e Stranger Things, di cui copia il blossoming dei personaggi (il parallelo Charlie/Dustin è palese) e l’ambientazione nostalgicamente vintage. Il problema principale, nonostante gli accenni politici di cui sopra, sta in una sceneggiatura vittima di un ingombrante didascalismo, che sottolinea ancora di più la scelta di orientarsi verso un pubblico giovane che viene colpevolmente imboccato dall’inizio alla fine. Similmente la regia, al netto di alcune scene ben riuscite, non si impegna particolarmente a stupire lo spettatore, costruendo la tensione nella ricerca di jumpscare davvero prevedibili.

Di contro, non si può di certo criticare la valenza orrorifica che soggiace l’intera pellicola. Seppure edulcorata da elementi eccessivamente gore, le creature portate su schermo hanno un forte impatto visivo, grazie soprattutto alle illustrazioni originale dei libri e all’apporto di Guillermo Del Toro in veste di produttore. Le aspettative per questa versione un po’ meno pop di Piccoli Brividi sono alte, e il botteghino internazionale sta ripagando un investimento produttivo che non è stato particolarmente esoso. Insomma ci sono i presupposti per una serie di possibili sequel e il finale aperto rilancia dichiaratamente verso questa direzione. Il materiale di certo non mancherà, in quanto i racconti da cui trarre nuove “scary stories” sono davvero tantissimi, ciò che bisogna però trovare è una maggiore solidità nella scrittura, per creare un mondo horror che valga davvero la pena di tornare a visitare film dopo film. E, al momento, così non è.

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