Per una persona nostalgica come me nata negli anni ’80, avere trent’anni nel 2015 vuol dire convivere con una sorta di iper-criticità nei confronti di tutte quelle abitudini quotidiane così diverse dalle mode seguite nel decennio dei paninari e del Festivalbar. Diverse in peggio, ovviamente.
Nell’immaginario comune la primavera sta alla combo plaid+Lambrusco+prato, come l’elettronica sta ai sintetizzatori, ai club e ai ritmi futuristici alla Kraftwerk. Natura e tecnologia, due mondi apparentemente antitetici tra loro. Ma ormai è cosa risaputa che l’immaginario comune nasconde sempre un insieme meno ampio: dal 21 marzo piovono polline dagli alberi e smadonni dagli allergici, mentre il synth può riprodurre anche suoni e caldi e fluidi.
Lo sanno bene gli organizzatori dello Spring Attitude, il festival di musica eletronica che delle minoranze e del calore ne ha fatto un marchio di fabbrica, e che quest’anno sarà a Roma dal 14 al 17 maggio nella triplice cornice del MAXXI, Macro Testaccio e Spazio 900.
Cos’è che rende un sogno d’imprenditoria musicale una florida realtà del rilancio economico-culturale di una città? L’idea di un format diverso dagli standard europei, l’eterogeneità nei contenuti e la “democraticità”.