La commedia di Orlando
[TEATRO]
NOTO- Si attraversano tre secoli, ci si sposta da una Londra colta e coinvolgente verso una sconosciuta e poco civilizzata Asia Orientale, si parte uomo e si torna donna. Da giovanotto impavido e spavaldo a giovane fanciulla goffa e mascolina.
Uno spettacolo che riesce a tenere accesa l’attenzione e a coinvolgere lo spettatore in ogni suo singolo movimento. La commedia di Orlando, liberamente tratto da un’opera di Virginia Woolf, stupisce, entusiasma, diverte e fa riflettere. Una sottile critica alla società londinese dei secoli XVII, XVIII e XIX, il rifiuto del ruolo predominante dell’uomo, tanto da decidere di far risvegliare il protagonista donna, la scoperta delle tradizioni nomadi del deserto, la fuga da un matrimonio quasi obbligato e da un amore non corrisposto, per poi, diventato donna, trovare il vero amore e il successo letterario, entrambi tanto cercati.
Orlando, giovane e attraente nobiluomo, rifiuta ogni tipo di proposta matrimoniale ridendo della tradizione inglese del XVII secolo che tende a combinare buoni incontri alla corte dei sovrani. E’ un uomo irruento, ricco e ribelle, nonché grande appassionato di letteratura tanto da provare a comporre una sua opera, La quercia, che verrà però snobbata dalla critica letteraria del tempo e verrà abbandonata dal suo autore. Nonostante la sua ritrosia verso il genere femminile, si innamora perdutamente di Sasha, figlia dell’Ambasciatore russo, la quale però non ricambia il suo amore. Iniziano qui i lunghi sonni del protagonista che, quasi come momenti catartici, durano per settimane e a volte anche per mesi. Per lenire il dolore, Orlando decide di partire per Costantinopoli dove, dopo una nuova lunga esperienza di sonno, si risveglia donna e da tale, con immensa difficoltà, inizia a comportarsi. Rimane per un po’ di tempo nel deserto, sperimentando la vita delle tribù nomadi del luogo e apprezzando la condizione della donna, che giudica essere più libera che in Inghilterra. Tornata di nuovo a Londra con il XIX secolo alle porte, Orlando riesce ad avere un suo riscatto personale e professionale: trova l’amore e pubblica il suo libro inizialmente scartato.
Durante tutte le sue avventure, attraverso tre secoli, Orlando è sempre accompagnato da una serie di fedeli personaggi che lo seguono, lo consigliano e lo supportano. Ruolo di primo piano spetta a Virginia, intima amica e confidente, che non a caso ha il nome della stessa autrice, quasi a voler trovare per lei un posto sulla scena per permetterle di controllare Orlando, di esserne ispiratrice e di specchiarsi contemporaneamente in lui. Nella commedia degli opposti e delle ambiguità prendono posto anche Faith e Judy, l’una saccente e intraprendente, l’altra sempliciotta e ingenua, e Hill e Hall, i tutto fare di casa, l’uno nevrotico, l’altro estremamente calmo. Particolari nella loro eccentricità sono l’Arciduca, figura bisessuale, che diventa donna quando Orlando è uomo e uomo quando lui si risveglia donna; Green, scrittore unto e poco educato che sarà rovina e poi fortuna per la carriera letteraria di Orlando, e infine Marmaduk, fascinoso esploratore di cui Orlando si innamora e che diventerà suo marito.
Per la regia di Emanuela Giordano, una bravissima Isabella Ragonese, nei panni di Orlando, riesce a gestire in maniera esemplare le scene, supportata magistralmente da Erika Blanc nel ruolo di Mrs Virginia e contornata da Guglielmo Favilla, Andrea Gambuzza, Claudia Gusmano, Fabrizio Odetto e Laura Rovetti. La sceneggiatura è semplice ma curata, cambiata dagli stessi protagonisti con l’ausilio di qualche attimo di buio e le note di un violoncello, e una chitarra esaltano ogni avvenimento e ne enfatizzano l’essenza e le peculiarità.
Uno spettacolo che lascia spazio al divertimento, che sorprende e che coinvolge lo spettatore chiedendogli quasi uno slancio di collaborazione. Una critica leggera che diventa quasi descrittiva, una sottile ribellione alla società del tempo e la voglia di sperimentare un diverso che è però già un tutt’uno con quello che si conosce. E infine il sipario cala sulla scena conclusiva che ha il sapore di una meritata e quasi richiesta rivalsa.
Caterina Altamore
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