G. Torregrossa, Panza e prisenza
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Un romanzo che trasuda “sicilianità”, che ci rende partecipi degli eventi, che ci fa assaporare una Palermo in festa, che ci fa rammaricare per quel modo di vivere che ormai è connaturato a quest’isola e ai suoi abitanti.
n delitto che sembra di mafia, ma che nasconde l’animo torbido di un intoccabile, di un appartenente a quella casta che tutto fa e nasconde, che tutto sa ma tace. E nello sfondo religione e folklore insieme, lumache che cuociono nelle pentole, odore di soffritto e luci di fuochi d’artificio e una Santa che per i palermitani è immagine e riflesso di loro stessi, dei loro desideri e delle loro preghiere.
Protagonisti del primo romanzo giallo dell’autrice siciliana, o come viene meglio definito sulla quarta di copertina, di questo “canto d’amore per la Sicilia servito come un giallo”, sono tre poliziotti, grandi amici dai tempi dell’ingresso nell’arma. Lobianco, rispettabile e serio, irreprensibile questore, solido affidabile insomma padre e marito perfetto; Sasà, commissario ribelle in sella alla sua moto, ligio al dovere ma con i modi poco ortodossi, convinto che la mafia si combatta dal basso passa il tempo a controllare assicurazioni e a sequestrare mietitrebbie sperando nella rieducazione di un popolo che non avverrà mai. Occhi azzurri, fisico slanciato, grande amatore, insomma compagno ideale. E in mezzo lei, Marò, tipica donna siciliana, bella e formosa, lunghi capelli neri e occhi scuri in grado di destare l’attenzione di tutti i passanti. Intelligente ma spesso ingenua, si fida del suo fiuto e delle sensazioni emanate dagli oggetti e dagli ambienti e soprattutto ama perdutamente i suoi amici. E non di un amore fraterno, ne è innamorata dai tempi del loro primo incarico fra le montagne dell’Aspromonte e, da sempre indecisa, è rimasta sola nella speranza di riuscire, un giorno, a scegliere uno dei due.
Le loro vite si intrecciano continuamente tra lavoro, cene e confessioni più o meno piacevoli. La vita li mette spesso alla prova, interrogando e chiedendo e poi aspettando che siano loro stessi a capire dove andare e che fare. E così si ritrovano a dover affrontare nuovi incarichi, a risolvere uno strano omicidio, a cercare un pentito che infondo non devono trovare per poi capire tutto e rimanere fermi, immobili a vedere scorrere le cose da sé, a vedere una giustizia che lavora e si trova da sola. Il tutto con la consapevolezza di essere sempre in tre, di avere un appoggio sicuro, un riparo certo. Almeno fino a quando la vita lo concede…
Al suo quarto e ben riuscito lavoro, Giuseppina Torregrossa riesce a dare un immagine vivace, scorrevole e molto piacevole della Sicilia senza tralasciare quelle punte di amaro che caratterizzano chi in Sicilia c’è nato e l’ha vissuta. “L’ha vissuta” non “c’è vissuto”, perché la Sicilia si comprende e si sperimenta sulla propria pelle, si vive, si respira, si fa propria. Un quadro perfetto della vita all’interno dell’isola sapientemente condito da qualche deliziosa ricetta tipica e da una descrizione quasi palpabile dei suoi fiori, dei suoi odori, dei suoi colori. Come se assieme a Lobianco, Sasà e Marò ci fossimo anche noi, seduti con loro, panza e prisenza…
Giuseppina Torregrossa, Panza e prisenza, Libellule Mondadori, pp.187, € 10
Caterina Altamore
Caterina Altamore, Giuseppina Torregrossa, letteratura, martelive, martemagazine, Mondadori, Panza e prisenza, Recensioni