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A posto, forse!

ROMA- Teatro Palladium, tra gli ultimi luoghi in cui godersi ciò che resiste del panorama “danzereccio” capitolino, Ambra Senatore non ci delude. A Posto, il lavoro da lei presentato il 5 e 6 maggio possiede quella vasta gamma di “tutto un po’” che regala un risultato equilibrato e piacevole ai sensi, tutti.

Parlo di un equilibrio che viaggia tra il surreale e il reale, tra il partecipativo e l’esclusivo, tra il comico e l’amaro.
Impronta distintiva della coreografa torinese è l’ironia che è dosata senza timore, come gli ingredienti di una torta squisita, da lei e dalle altre due danzatrici che compongono la scena. I corpi non sono solamente danzanti, ma sono lavorati nella loro gestualità quotidiana, nell’uso della voce e nelle pause, quei piacevoli attimi in cui lo spettatore riesce ad incuriosirsi del prossimo futuro. La meraviglia di questo lavoro sta nel viverlo alla rovescia, sta nell’accumulazione di indizi per rendere sensata l’azione appena finita, agire verso un futuro per comprendere il passato, sarà forse una lezione di vita? Ad ogni modo seguendo il filo logico di A Posto, cosa facile proprio per la semplicità percettiva, si nota la concatenazione temporale tra presente, passato e futuro sia nel dettaglio che nella a posto 2macro struttura. E’ come se lo spettatore capisse chearrivando alla fine del pezzo potrà sbrogliare la matassa come per incanto.
Il disegno luci sembra essere la risoluzione ai problemi tecnici che imperversano durante un qualsiasi allestimento, infatti non esiste: spengo e accendo, solo buio prima, solo luce poi, in realtà, nel complesso, esso è funzionale al mood proposto proprio per la sua semplicità. Questa pulizia porta lo spettatore verso l’idea di “Bianco”, quello di una scena, di un pavimento, di emozioni e corpi che prendono pose plastiche sul palco; non è candore, ne purezza ne vuoto, è semplicemente “Bianco”. Anche l’audio scelto contribuisce all’eleganza sottile del lavoro: inizialmente assente, aumenta al crescere delle voci della danzatrici, alternando passerotti, note classiche e registrazioni artigianali delle stesse donne che sentiamo bisbigliare sul palco.

La performance è un viaggio in tre momenti, inizia con una presentazione astratta che procede nel movimento quotidiano e si conclude con una scenetta bucolica e tragicomica. Durante le transizioni assistiamo ad azioni talmente lavorate e ironiche che varrebbe la pena vedere lo spettacolo solo per loro. Mi riferisco a situazioni interrotte e spostate nello spazio, accompagnate da un cinguettio in sottofondo e da oggetti che allettano l’uomo per definizione. I sensi dello spettatore sono immersi nel clima della domenica estiva: un termos con del caffè, una rivista, un cestino da merenda e una bellissima torta al cioccolato, una via di mezzo tra il relax e i giochi delle bimbe d’altri tempi.
La parte conclusiva, animata inizialmente da brio e leggiadria termina con la trasformazione totale della cifra emotiva del lavoro che la Senatore ci regala. I commenti delle tre interpreti cessano, i volti si scuriscono e gli oggetti di scena, da attori insieme alle danzatrici, diventano abbandonati spettatori dell’inaspettato risvolto tragico, come se nemmeno loro avessero previsto di finire così…
Insomma, sempre in tema di torte, è una ricetta buona e invitante che forse però ha qualche affinità con la mela avvelenata di Biancaneve.

Giovanna Rovedo

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