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Iniziare dopo la fine: The Vaselines

The-Vaselines1

[MUSICA]

The-Vaselines1ROMA- Non so quanto mai avessero potuto aspettarselo Eugene Kelly e Frances Mckee – il duo anima dei The Vaselines – d’arrivare per la prima volta nella loro storia musicale in Italia nel 2012, ad un ventennio e oltre di distanza dal primo rapido scioglimento della band (1989, subito dopo il primo album) e soprattutto da quei giorni lontani in cui nientemeno che quel mito moderno di Kurt Cobain li elesse a band preferita, portandosi con se questo due scozzese nel tour europeo dei Nirvana.

E’ così però è stato, e all’Angelo Mai il 25 gennaio la sala era colma di curiosi e di fan carichi di un certo entusiasmo, con il sospetto da parte mia che tutto quel clamore fosse (e sia) frutto d’un fenomeno che brilla ancora di luce riflessa, ovvero che quell’investitura del leader grunge dei primi anni ’90 sia ciò che più abbia attirato le orecchie e le menti dei presenti verso questa band, che con semplicità e autoironia unisce radici folk al post-punk più vicino al pop.
E a confermarcelo sono arrivate quasi subito le versioni di Molly’s lips” e “Son of a gun”, i due brani coverizzati e rivitalizzati dai Nirvana in Incestide e poi anche la struggente (nella versione cobainiana) “Jesus don’t want me for a sunbeam”.
Affiancati in formazione per basso e chitarra da Bobby Kildea e Steve Jackson (dell’altra celebre band scozzese The-VaselinesBelle&Sebastian), convocati a rendere più corposo e solido il suono, i The Vaselines hanno presentato parte del loro secondo album in studio, Sex with an X, realizzato nel 2010 per la Sub Pop records, celebrando i postumi dei lori eccessi, la loro sprovvedutezza (“I Hate the ’80s”), coscienti d’aver oggi in corpo più una certa amara nostalgia che la carica eversiva degli esordi, eppure dal vivo sempre rabbiosi (“let’s have a bit of rough/you think you’re really tough/but just not hard enough”, da “Ruined”).
Tra gli inciampi dell’amplificazione e la volontà d’ascoltare qualcosa in più, l’intensità che ti travolge è di quella fatta di frasi che si bruciano subito, si esauriscono nell’arco d’un paio di minuti, con rapidi inneschi e violenti tracolli, bruschi stop, e in mezzo gli applausi, le piccole ovazioni di rito, l’ammiccare trasandato e in quello slang al limite dell’esoterico della cantante con il pubblico in sala, quel giocarci per qualche istante e poi ripartire subito di nuovo, e poi ancora un’altra, una scarica energetica che raggiunge subito il climax e poi muore.

Salvatore Insana

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