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L’amore in guerra

LOCANDINA__Spettacolo_Amore_in_Guerra
[TEATRO]

LOCANDINA__Spettacolo_Amore_in_GuerraROMA- Una sedia, un tavolo, due bandiere naziste appese alle quinte laterali e un telefono che squilla di continuo. Dialoghi asciutti, ritmo serrato, la repressione nazista in Germania come cornice e due vite al centro del quadro, due esistenze non accettabili per il regime.

E’ così che vengono presentate e raccontate le realtà della celebre pianista berlinese Gertrud Stein, ebrea e per giunta omosessuale, e di Matilde Melzner, ragazza schizofrenica (ricoverata presso l’Istituto di cura di Eichberg) ne L’amore in guerra, spettacolo andato in scena il 10 e l’11 marzo sul palcoscenico del Teatro Tordinona, che si consegna al pubblico romano come un lavoro che colpisce per la sua essenzialità e sensibilità, che lo tengono lontano da toni retorici da cui è difficile sfuggire quando vengono trattate tematiche così gravi e impegnative.
Scritto e interpretato dall’attrice, musicista e scrittrice Melania Fiore, lo spettacolo nasce da un progetto ideato dall’artista insieme al Maestro Mario Scaccia – scomparso lo scorso gennaio – che avrebbe dovuto curarne la regia e che lo aveva immaginato come una rappresentazione composta in due quadri, che ritraessero la storia di due donne “particolari” nell’epoca della Germania nazista, in cui l’amore fosse il protagonista assoluto.
Melania Fiore si è quindi immersa in un lavoro di ricerca per documentarsi sul periodo e le atrocità compiute a opera degli esponenti del regime, e ha dato vita ai personaggi e alle vicende – immaginarie – di Gertrud e di Matilde. E’ così che, con un linguaggio delicato e un’interpretazione e uno stile mai urlati nella pur chiara denuncia della disumana violenza del nazismo, i drammi delle due donne si sviluppano coinvolgenti nel mostrare due esistenze che, nella loro diversità, incarnano una resistenza strenua alla crudeltà del regime.
Una resistenza che ricorre all’enorme potenza dell’infinitamente piccolo del singolo contro il tritacarne insormontabile della macchina nazista, una forza di opposizione che nella semplicità e superiorità del sentimento umano dell’amore arriva svuotare e svigorire – di certo non a sconfiggere – l’ingiustizia e il pregiudizio. L’amore inteso in tutte le sue forme, e in particolare come donna, come passione per l’arte, come rifugio inconsapevole e salvezza dalla lucida follia dei crimini del nazismo.

Gertrud nelle ultime ore prima della sua deportazione in un campo di concentramento (alla quale coraggiosamente non vuole sfuggire), nel suo salone ormai spoglio di mobilio, tra telefonate di persone a lei care che la chiamano per un ultimo saluto, trova infatti la forza di non crollare grazie alla musica, alla grande musica da lei interpretata in maniera eccelsa per tutta la vita, e che in questo senso abita dentro di lei come condizione di esistenza.
Le sue dita scorrono sul tavolo di legno come su dei tasti immaginari eseguendo, in un’ansia crescente, il “Claire de Lune” di Debussy, fino all’ultimo istante prima di essere condotta fuori di casa dall’ufficiale tedesco Schneider (Stefano Patti).
L’amore mette in salvo, l’amore libera, l’amore è il principium individuationis cui aggrapparsi per non scomparire e lasciarsi spogliare della propria identità e coscienza morale, l’amore rende più forti.
Così come il tenero ardore che prova Matilde per il suo medico (Stefano Patti), un sentimento melania-fiore-giovane-talento-italianoche nell’isolamento della sua malattia mentale -che secondo la politica del regime la rende uno scarto umano inutile e non degno di vivere e ricevere cure- la sottrae alla morte certa cui sarebbe destinata per via dell’eutanasia, stabilita da Hitler e messa in pratica dagli psichiatri conniventi, per i pazienti affetti da disturbi psichici.

I due quadri, costruiti con finezza dalla regia di Riccardo Alessandroni, restituiscono non solo le drammatiche vicende personali di due donne sole -interpretate con estrema sensibilità e ironia da Melania Fiore– di fronte al proprio destino e alla brutalità del potere, ma anche la tenerezza e la forza tutte al femminile dell’amore, e soprattutto una pagina di anni mai troppo lontani dal nostro tempo, un passato col quale è necessario confrontarsi costantemente e dal quale si può uscire solo fortificati, da cui trarre insegnamento per il presente in cui temi come l’eutanasia, la questione femminile, l’omosessualità e la malattia mentale sono ancora dibattuti e purtroppo molto spesso percepiti come realtà pericolose e non degne di occupare un posto nel contesto sociale del nostro Paese.

Alice Salvagni

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