Rezza Antologia al Teatro Vascello
Pitecus: facce contorte
I personaggi di Antonio Rezza sono brutti, è inutile negarlo. In particolare, quelli di Pitecus sono smorfie, facce contorte in spasmi e costretti in cavità anguste e spigolose: la vita li respinge relegandoli in una fessura interstiziale della realtà.
Impossibile rielaborarli in una trama, piuttosto le scene si giustappongono in momenti assurdi e grotteschi tutti animati da esseri cattivelli e tristi, insoddisfatti perenni.
Egidio aspetta con ansia una visita dagli amici, salvo poi respingerli quando finalmente arrivano, nemmeno tanto convinti del gesto amicale vista la fretta con cui se la battono. Le sorellastre di Cenerentola si pigliano una meritata rivincita al ballo del Principe svogliato con un guardaroba di scarpe ardito, che parte da un 95 abbondante tanto per essere sicuri che la scarpetta si perda al primo passo danzante. Due genitori provano tutte le droghe possibili senza farsi sorprendere dal temuto figliolo tutto d’un pezzo e Giovanna d’Arco ripassa le lezioni per evitare il rogo, ma la riduzione dei programmi scolastici le si rivela fatale.
La maggior parte dei protagonisti è insofferente all’azione senza voglia di fare alcunchè, rinunciando persino a vivere e riducendosi a larve umane. Questo è probabilmente il punto centrale dell’opera, volendo azzardare un avvicinamento alla mente dell’autore (che, potendo, sicuramente ci smentirebbe).
Pitecus è l’archetipo, l’uomo primigenio, il modello dell’essere (dis)umano attuale a cui, in definitiva, non frega niente di niente. A questo riportano anche le continue provocazioni lanciate al pubblico, offeso, umiliato e sfidato: non sa capire dove termina una scena né afferrarne il senso, figuriamoci se è in grado di applaudire al momento giusto.
In questo contesto la scenografia artistica realizzata da Flavia Mastrella, l’altra protagonista degli spettacoli, si distingue per l’originalità della funzione che assolve. Non uno sfondo, non una cornice, arredo scenico, ma protagonista-costume ed essenza del personaggio. I teli policromi per assurdo svelano il corpo, lo informano rendendolo tale, permettono all’attore infinite possibilità di movimento e forma. Persino la preparazione di una scena diviene lo spettacolo dell’attesa, momento ludico in cui giocarsi un nuovo scontro con lo spettatore. Sembra proprio essere il gioco ad ispirare la creatrice di questi semplici quanto geniali teli “bucherellati”, un gioco che sa lasciare spazi all’immaginazione senza dirigerla, semplicemente piegandosi ad essa.
Si ride tanto in questo come in altri spettacoli di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, ma cosa c’è poi da ridere? Non c’è salvezza consolatrice, non esiste il concetto di futuro perché da questo presente, da questo Uomo emblema della sterilità non potrà arrivare nulla. Questa volta dal letame non nascerà alcun fiore.
Francesca Paolini
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