Skip to main content

Sting: englishman in Rome

sting-concerti-italia
[MUSICA]

sting-concerti-italiaROMA- Il rock lo scorso 9 novembre si è fuso con la musica sinfonica e non è facile ammettere come questi due stili, geneticamente differenti, insieme riescano a dare un trasporto emotivo che fa quasi perdere allo spettatore ogni sua funzione cognitiva.

Con ciò non si vuole affermare che quello a cui abbiamo assistito è stato uno show perfetto, ma in realtà la sua imperfezione e la sua perdita parziale di tensione ha fatto sì che riuscissimo ad apprezzare con più enfasi, i momenti in cui tutta la capacità compositiva di Sting, unita alle piacevoli melodie sinfoniche, sono riuscite a sfoderare una potenza sbalorditiva.
L’apertura con “If I Ever Lose My Faith In You” è accolta con particolare entusiasmo. La Royal Philharmonic Concert Orchestra inizialmente sembra impettita negli abiti neri, negli ottoni luccicanti e negli archetti in perfetto sincro, ma durante tutto lo spettacolo ci offrono un personale show fatto di cappelli con luci a intermittenza, felpe a righe gialle e nere, coreografie e ola da stadio. Tutte piccole aggiunte che difficilmente immaginiamo possano ripetere di fronte all’austera Regina Elisabetta.

La tourèe prende il nome dall’ultimo album in studio di Sting Symphonicities, un percorso nella storia del bassista dei Police e del compositore solista. Un lavoro che non ha ottenuto grandi apprezzamenti da parte della critica e, osservando quello che accade stasera sul palco della sala Santa Cecilia, forse ne scopriamo il motivo.
L’album si divide nettamente in due parti: i pezzi più conosciuti e apprezzati e dei brani che non hanno mai avuto particolari riconoscimenti. Probabilmente Sting ha selezionato una tracklist sbagliata poiché le canzoni che ha scelto di non inserire in Symphonicities, sono quelle che stasera convincono e coinvolgono tutto il pubblico presente in sala che non si risparmia in applausi e standing ovation. E’ anche vero che alcuni brani nascono per essere ascoltati dal vivo. E’ il casosting1 della splendida “Russians” che lascia tutti senza fiato. L’orchestra dona maggiore austerità ad una musica nata per accompagnare un testo che racconta della guerra fredda tra Russia e America. Il finale è affidato a una tromba il cui suono ricorda vagamente una marcia funebre ed è questo il momento più emozionante di tutto il concerto.

Il live è diviso in due tempi, con un totale di tre ore di show. Durante la prima metà dello spettacolo la scaletta sembra esaurire tutti i migliori brani in repertorio: “Roxanne”, “English man in New York”, “Next to you”, “Every Little Thing She Does Is Magic” e ci si chiede se non sia una scelta azzardata quella di bruciarsi i pezzi migliori all’inizio, ma in realtà non si riesce ad immaginare la vastità dei successi che Sting negli anni ha prodotto e con cui ha riempito la quasi totalità delle tre ore.
“Shape of my heart”, “Moon Over Burbon Street” la storia di un vampiro che suo malgrado è rinchiuso in una vita di tenebre e a cui Sting stasera regala il suo volto vestendone gli abiti. E poi “Desert Rose” e una miriade di encore che si concludono con una bellissima “Message in a Bottle” accompagnata solo da una chitarra suonata dallo stesso Sting e dalle voci dei 3.500 presenti all’auditorium.
Perfetto nella sua insolita voce, sensuale nelle movenze e nell’approccio ai brani, un genio contemporaneo che ancora una volta ha dimostrato come la musica non si fa dentro a uno studio ma sopra a un palco.

Paola D’Angelo

Auditorium Parco della Musica, martelive, martemagazine, musica, News, Paola DAngelo, roma, Sting

Lascia un commento