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Attimi

Attimi_Gabriella_Di_Luzio
[TEATRO]

Attimi_Gabriella_Di_LuzioROMA– “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. E’ così che Sant’Agostino nelle sue Confessioni si interrogava e si rispondeva sull’immensa questione del tempo e sulla resistenza che esso presenta verso una definizione ultima.

E in questo senso, verso la possibilità di venire compreso in modo conclusivo dalla ragione umana se non come presente, ovvero come successione di istanti presenti statici che sfuggono a rientrare effettivamente nel movimento di passato, presente e futuro.
Riuscire a isolare questi attimi per non sentire lo scorrere inesorabile del tempo e arrivare a godere di ogni singolo istante, senza sentire il peso del legame forzato con ciò che è già stato e con quel che sarà, non è forse uno dei desideri umani più condivisi(bili)? Sognare che la separazione che distanzia e rende diverso ogni momento vissuto dall’altro, cessi e sprigioni al contrario la leggerezza di un tempo che scorre, ma non passa, non è questo uno dei pensieri che ci fa sentire parte di uno stesso mondo?
Non vogliamo di certo tediarvi con riflessioni che rischiano di essere estremamente superficiali vista l’inesauribilità di una questione come quella del tempo. Questa breve digressione su un tale argomento nasce in realtà dal fatto che Attimi. Una, nessuna, centomila di Gabriella Di Luzio e AntonioMaiella per la regia di Gianni Musy, lo spettacolo che abbiamo seguito questa settimana e che è stato in scena dal 2 al 7 novembre al Teatro Petrolini di Roma, solleva con eleganza e leggerezza interrogativi, pensieri e riflessioni di tenore esistenziale sulla fugacità di un attimo nella sua eternità e sullo scorrere del tempo, nell’arco delle esperienze della vita del singolo, a partire dal racconto privato della stessa interprete Di Luzio.

E’ infatti così che, in una cavalcata tra ricordi ed emozioni, l’attrice passa, in parole e musica (spesso eseguita dal vivo dal pianista Mario Messina) dal cabaret alla prosa, dal musical alla sceneggiata napoletana e al café-chantant – tutti generi teatrali che l’interprete ha attraversato – e che si concede allo stesso tempo digressioni di stampo più meditativo e malinconico su come sia, alla luce di tutto quello che la vita e l’esistenza possono riservare, assolutamente umano desiderare di “liberare gli attimi dalla gabbia del tempo” e di “renderli liberi da principio e fine”, cioè di aspirare a non conservare più alcuna consapevolezza di un senso cronologico per stabilirsi in un mondo sospeso, al di sopra della fine e dell’inizio di un momento, del principio e della fine di una cosa e di un sentimento, senza timore dell’alternarsi di essi e della complementarità tra buio e luce.
La recitazione di Gabriella Di Luzio è coinvolgente e mai sopra le righe o stonata rispetto alle situazioni raccontate, mentre l’impianto generale dello spettacolo è costruito su uno sviluppo forse un po’ disordinato, che in ogni caso riesce a colpire nel segno arrivando a rendere l’idea di fondo di riproporre il movimento altalenante costitutivo della vita, la successione ondivaga di attimi, che si dispiega tra gioie profonde e dolori intensi da vivere e di cui comunque vale la pena godere, appassionando lo spettatore nell’assaporare molte gradazioni diverse di intrattenimento senza lasciare che appunto avverta che il tempo scorre e non possiamo farci niente.

Alice Salvagni

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