Credevo di essere al MAXXI, invece ero a Zelig
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]
Inizio il viaggio su una carrozza nera, quest’enorme struttura bianca non può non essere visitata con scarpe scomode, e trovo l’idea di una carrozza per gli avventori assolutamente perfetta. Ma l’idea di avere come compagna di viaggio una mozzarella mi destabilizza, magari, per me, è meglio evitare la compagnia di un latticino, potrebbe distogliere facilmente la mia attenzione, e invece quest’imponente struttura bianca dichiara la massima serietà da parte mia.
Ed ero attenta, giuro che ero molto attenta a quello che mi circondava, e non mi aspettavo di meritare il rimprovero dell’assistente di sala, il fatto è che stavo calpestando una piramide, ma non c’era, vi assicuro che non c’era! A terra c’era solo scotch nero a delineare lo spazio di un triangolo, più in là mi sono resa conto che c’era anche un cubo, questa volta delineato da scotch bianco, ma in quest’angolo della sala non c’era nessuno che impedisse ai visitatori di non calpestare l’opera. Ero troppo presa dal capire questo “cubo” che ci sono entrata e l’ho anche calpestato, ho vissuto per intero l’opera d’arte, ne ho fatto parte e non ho capito ancora perché “La Piramide” di De Dominicis mi fosse vietata mentre “Il cubo” no, ci saranno dei motivi di natura esoterica che io non potrò mai comprendere.
“Le mie opere spesso si sono rifiutate di partecipare alle grandi mostre”. Ma questa volta, signor De Dominicis, ce ne sono un bel po’ di sue opere in questo tempio dell’arte.
Il signor Achille Bonito Oliva, che ha definito una corrente artistica in cui lei palesemente non poteva identificarsi, ha raccolto e portato qui le sue opere più rappresentative: i suoi scheletri con il nasone, le sue matite equilibrate, e la sua palla caduta da due metri, già esposta alla Biennale di Venezia del 1972.
Mancava il signor Palo Rosa, il giovane affetto dalla sindrome di Down che chiudeva in sé il cubo invisibile, la palla di gomma rossa caduta da due metri e la pietra. Purtroppo quando si viene a mancare, non si può sapere che “L’universo è immobile” non è più immobile, il nostro artista ha la sua opera stravolta e mancante di un parte fondamentale, quella che gli fece prendere più denunce. Ma adesso sarebbe inutile ricevere denunce per mantenere l’opera com’era all’origine, quindi frammentarla, per il signor Achille Bonito Oliva, è stata di certo la soluzione più razionale. O forse, più semplicemente, si può essere provocatori anche senza sottolineature che tendono solo ad ottenere un colpo di scena.
Siamo il pubblico, e “il pubblico che si espone all’arte e non viceversa”, questo monito di De Dominicis mi ricorda di limitare i giudizi troppo perbenisti e mi riporta al fatto che questa è l’arte del ventunesimo secolo, non si può semplicemente ricercare il bello, deve creare il coup de théâtre, deve stupire, come la possibile compagnia di una mozzarella su una carrozza ottocentesca.
Ci vuole un caffè! Peccato che ci venga servito in tazzine monouso, sembra di essere in ufficio, ma il caffè è costato un euro. I distributori sono più pietosi con le mie finanze. La tazzina di plastica servita al bancone del bar mi stupisce più di molte opere che ho avuto modo di trovare lungo il percorso. Ma come? L’arte contemporanea, quella del ventunesimo secolo non pone in essere la questione ambientale? Maggiore igiene? Non si era superato questo concetto per evitare la produzione di spazzatura. E poi il caffè non è più buono nel vetro o nella ceramica spessa? Tazzine monouso nel regno di un’arte che protesta, sbigottisce e si incurva di fronte alle maglie del conformismo?
Ed è, in effetti, molto conformista, pretendere di vedere al meglio le opere d’arte in un museo preposto a questo. Non riesco a capire che la prospettiva cambia e io mi devo sforzare di immaginarmi più alta per vere le foto di Luigi Ontani, Le ore, che sono posizionate così in alto e il corridoio non ha la giusta profondità. Ho solo modo di vedere il riflesso della luce sul vetro che protegge la carta con frammenti di oro zecchino in cui l’autore rappresenta nelle pose neoclassiche. A parte le opere di Ontani poste veramente troppo in alto, anche le altre fotografie protette da vetro riflettono sempre e comunque, non permettendo la visone della foto in sé. Capisco le difficoltà di un allestimento in una struttura bianca ed estremamente luminosa, ma ricordo ancora che mi trovo al MAXXI, non in un piccolo locale di Roma non preposto alle mostre.
Un soffio d’aria mi smuove i capelli, ero ancora presa dalle mie riflessioni sulle foto che non riuscivo a vedere, non me l’aspettavo. Scopro che si tratta di un’altra opera d’arte. Dielettrico di Micol Assaël, un’artista giovanissima, classe 1979, si diverte a far percepire lo spazio in modo differente. Già presente alla Biennale di Venezia, a quella di San Paolo, dopo aver esposto al MADRE, quest’artista interviene sul pubblico, e risponde bene alla dichiarazione di De Dominicis sopra citata, il pubblico, veramente si espone all’arte. Mi chiedo se d’inverno faranno passare aria calda?
Il pubblico è molto formale, attento, ma ci sono anche dei bambini che interagiscono con le opere in modo molto originale, non si fanno alcuna domanda, quello che è colorato e strutturato in modo differente li attrae non hanno bisogno di leggere le didascalie. Per fortuna! Io so per certo che gli avventori stranieri del museo avranno avuto la stessa partecipazione infantile alle opere, e l’emozione li avrà presi in toto, anche perché le didascalie, e qualche accenno all’opera o all’artista, erano solo in italiano. Un po’ di nazionalismo, non guasta mai nel museo di arte del ventunesimo secolo. Sì ai molteplici artisti stranieri e alla loro lettura del mondo, ma che il pubblico straniero non legga le didascalie. Troppo banale!
In fondo l’arte contemporanea è tutto e il contrario di tutto, estetica, stupore, controtendenza assecondarsi alle mode, vicinanza alle fondazioni e ai critici che lavorano con questa fondazioni. In questo non senso assoluto circondato di bianco, sento il vociare di coppia che ho incontrato per tutto il percorso, poco formale, ma che si era soffermata ad ogni opera e ad ogni opera aveva riso clamorosamente. Lui commenta un’opera di granito con incastonata una bussola: “mi sto divertendo un sacco, sembra di essere a Zelig!” Forse se si insegnasse di più storia dell’arte al liceo avremmo maggior rispetto dell’arte da parte di questi giovani del ventunesimo secolo.
Rossana Calbi
Achille Bonito Oliva, arti visive, De Dominicis, Luigi Ontani, martelive, martemagazine, Maxxi, Micol Assaël, rubrica Graffi(a)ti ad arte, Shiba