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La trance, la triglia, gli aguzzini, le mutande

il7
[IL_7 SU]

il7Raffaella Daino, fondatrice e fulcro del progetto Pivirama, con cui ha pubblicato i CD “Cosa sembra” e “In my mind”, ha un nuovo disco in lavorazione, intestato a lei come solista, tanto per consolidare l’aura rock del suo personaggio venutasi ad infittire strada facendo grazie ai suoi talenti di songwriter, cantante e chitarrista.

Dagli studi di registrazione già è uscito, filtrato fuori non come una gustosissima indiscrezione sulle ben più segrete stanze dei bottoni, ma come una denuncia dolente e rarefatta, il brano “War”, subito premiato al concorso “Una canzone per l’Unicef” e decimo (su ottanta) al premio del MEI sui diritti umani, il cui testo recita: “Quando gli adulti giocano alla guerra, i bambini muoiono Raffaella_Dainodavvero!” La song è punteggiata di citazioni del discorso di Martin Luther King del 1963, quello noto come “I have a dream”, da cui in questo contesto mu-sicale, a noi fa piacere riportare questa frase: “Con questa fede potremo trasformare il suono dis-sonante della nostra nazione in un’armoniosa sinfonia di fraternità.” La rock lady, conosciuta e ben recensita anche negli States, distende le sue tonalità eteree ed evocative su un sostrato sperimentale che estrania o stranisce piacevolmente anche gli ascoltatori più avvezzi alle sofisticazioni, perchè combina brillantemente spigolature elettro-psichedeliche che strabordano nell’underground, con una ricerca melodica ammaliante e talvolta jazzy, in un insieme intrigante e di sicuro impatto. In “All grey” il perpetuarsi di una monotonia compagna di solitudini è suggerita da un contrappunto e da echi sibilanti di una dimensione ipnotica che si fa pastosa nei ritornelli visionari riversandosi in un denso coagulo indie nel finale aperto all’assolo timbrico della chitarra. “I love U unplugged” vive nel flusso di coscienza della Daino in un’affettazione limbica di suoni sospesi “trance” spinti su da una chitarra ritmica acustica da meditazione trascendentale, sulla quale va ad appoggiarsi la suggestione esoterico-astrale di “Set the controls for the heart of the sun”, articolata intorno ad un simil-xilofono che fa vibrare cristalli incrinati mentre l’inedita voce femminile, sensuale e non incline a protagonismi, ed un’arrangiamento più soft, donano alla cover un carattere post-rock più soffuso dell’originale dei Pink Floyd delle origini, a cui l’ensemble ha facoltà di ricollegarsi proprio per il suo rifuggire dalle abusate soluzioni a base di chitarrismi acidi.

The_RivatiI The Rivati, gruppo parteno-black ormai selezionato dal MArte Live dopo la loro esibizione al Conte Staccio, già dagli esordi nei villaggi turistici come duo hanno messo insieme “Soul” e “Love” (i soprannomi dei due fondatori) per catturare, al suono di diversi groove “aumm’aumm’”, platee ricettive disposte a entrare nell’orbita di quello sferoide di sonorità blues (e derivati) che promana da un gruppo funk con spiccate capacità comunicative. L’addizione delle tastiere di D. Franzese e del contrabbasso di Gabbo Hintermann glorificano con un sound rotondo lo spirito caldo, produttivo e macinante di Maccaro e Cassese, che con “Sigaretta funk” mettono da parte le mentine e con furastica indolenza loose si concedono la cottura dell’alito per ottenere, in un linguaggio perfettamente comprensibile anche dai Bostoniani, l’affumicamento dei cattivi pensieri in un mood fumoso da bettola per bella gente attanagliata da creditori che li etichettano come parassiti usciti dal delta del Mississippi. Il bluesone di “Oh baby” è dedicato con l’anima, ma anche molto con il corpo, ad una donzella dalle forme procaci che si scopre (sarà il caldo) come una capace di farti “morì” nel senso più lussurioso che una triglia umana con gli occhi annacquati dalla passione possa conoscere. “Un giro nel quartiere”, complici giri di chitarra swing che si avvoltolano nella calura di un’estate torrida, si sventaglia con le descrizioni di scenette satiriche di personaggi che tirano avanti per forza d’inerzia ognuno con le sue magagne più o meno rivelate, eppure risapute grazie alle voci dei vicoli, condite da vocalizzi ed assoli pizzicati di chitarra acustica, e la voce si arrochisce invitandoci ad una verifica di persona al quartiere Sanità o a Secondigliano, tutti accaldati ma con le antenne belle dritte. L’influenza di Pino Daniele si avverte, raschiata da un’ascendenza carosoniana, in “Ma che me mport’e te”, una ballata rilassata in cui la rassegnazione diventa la colorita espressione di chi si stende su note lunghe e frasi molli, appena movimentate da una nacchera snocciolata a mezz’asta, su cui si inanellano le incertezze per il futuro, come bubbole però, che danno un fastidio limitato, non come i funghi sotto le piante dei piedi!

I Catch 22 con irruenza da band acciaccata di Birmingham arroventano il riff principale di “Tired Catch_22brain” e tirano fuori da un cervello punk preso da ingorghi psico-sociali la giusta cattiveria per adombrare una soluzione gridata ai problemi creati dal troppo tempo sprecato per colpa chissà di chi, forse di quella ragazzetta figlia d’una ciabattina con cui andiamo a ciondolare dal lattaio per dimostrarle che siamo i primi nel quartiere al flipper mentre lei cerca di pulire le sbaffate di rossetto che ci ha lasciato sui calzini corti color lavanda sporca! La band ha un sound compatto che non si priva di assoli puliti, dotati però – è bene evitare i malintesi – di quella stortura calibrata che ben si addice a chi tra chitarrismi sfrenati mette la sua anima in subbuglio al servizio dell’incubo spiegazzato di uno sposalizio con una “Cinderella Rock” che è una così tenera creatura da non volersi mettere il push up se prima non l’ha slabbrato con il tubo d’una pompa di benzina! Il ritmo è indiavolato, la ruvidità dà spettacolo, e la voce è sufficientemente versatile da interpretare con sfrontatezza sia le tonalità più parlate/sputate delle strofe, sia la iattanza sfogata dei ritornelli, diretti ed orecchiabili come il lancio d’una bottiglietta di birra. “No get out” è costruita sulla convinzione che non ci sia una via d’uscita da una disposizione d’animo che generi appunto tali convinzioni, e la circolarità di questa frase ben si adatta alla coda di un giovanotto-cagnaccio punk che se la morde perchè non può addentare le polpette dell’odiato padrone, il quale l’ha abbandonato con la chitarra sotto ad un palco senza avergli pagato i contributi per tre mesi di raccolta rifiuti elettronici senza guanti alla periferia di Bournemouth. Il bridge centrale crea lo spazio per l’assolo, e quando la struttura principale si rimette in gioco, è per lanciare il suo ululato seriale “No get out, no get out..!”. “October day” prende l’avvio da un ritmo da assalto epico ad uno stabilimento industriale di Sheffield, poi illumina con i fari della chitarra solista un cielo livido attraversato da flashes di un tramonto acido sotto al quale il cantato si regge sui nervi e i cap-pottoni si bagnano di lacrime di rabbia e sconforto come se queste venissero giù dai nuvoloni, mentre la vitalità si ribella e spinge a stare comunque meglio degli aguzzini che cercano di dissanguarci vendendoci scatolette a prezzi da gioielliere; e questo è possibile solo se si fa corpo tutti insieme e ci si sgrulla di dosso lo sguardo delle facce finte!

Dazed_FunkersI Dazed Funkers innanzitutto sono amiconi e continuano a suonare sfruttando ogni momento possibile per delineare e mettere a punto nuove tracce funk-rock, poi, se qualcuno non è d’ac-cordo, loro, che suonano nei centri sociali ed hanno abbastanza verve ormai da impressionare gli alternativi d’ogni etnìa, gli dicono che possono anche… non dico chiamare in loro difesa l’Uomo Ragno, ma eseguire il loro primo brano originale, “Superman”, un pezzo strumentale che sgretola le resistenze di chi non crede che uno possa avere una doppia vita – da giornalista e supereroe – e comportarsi più che bene! Infatti in questa composizione il riff iniziale ed il lavoro del basso creano una ritmica da cui ogni tanto si diparte un crescendo trionfante, tambureggiante, rinvigorito da scariche della chitarra solista che gonfia il petto in divagazioni fumettistiche di scuola Marvel. “Yellow parrots” tra i suoni tremuli e guasconi coordinati da una voluttà che si squaglia in suoni volutamente squinternati come alluminio piegato ad arte, si mette in evidenza una voce che in ultima analisi si chiede se tutto questo sia vero o non sia solo una trovata di un emulo dei Red Hot Chili Peppers che ha perso la trebisonda, e lo dico con ammirazione! “She’s juicy” sembra lo sbrotolamento sonoro con accenni heavy di un tizio che si impenna tutto, con assoli lancinanti e svettanti, raccontando alla sua ghenga i particolari delle sue sessioni di sesso paradossale con una squinzia che legge le versioni porno dei manga e ne fa spartiti arroventati con cui si prepara a ricevere a casa i maschi più parolacciari del branco. Il mood è gustoso, e la tecnica irregolare con cui sono accordate le cravatte permette di ottenere una quota di riverbero mica tanto assurda, specie se comparata alla virulenza svogliata con cui il messaggio di un libertinaggio californiano senza remore e senza mutande ci arriva da questo “Funky garage”!

Il_7 – Marco Settembre

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