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Riflettendo su ciò che insano…

museum_of_everything
[ARTI VISIVE]

museum_of_everythingLONDRA- Fuori dalle notorie rotte dell’arte londinese, a Chalk Farm poco distante dall’arcinota Camden Town, da un mese circa ha aperto i battenti il Museum of Everything. Un’enorme fabbrica abbandonata, che invece di essere rimpiazzata dall’ennesimo shopping centre, viene dato in gestione a gente giovane, capace e che ama l’arte. 
La mostra inaugurale di un museo dal nome così bizzarro, ci obbliga a pensare a qualche cosa fuori dai canoni. Così al Museo di Ogni Cosa hanno pensato di rivolgersi a nomi molto famosi del panorama artistico contemporaneo, per garantirsi una certa visibilità. Ed eccoci serviti: Annette Messager, Carsten Höller, Eva Rothschild, Norman Rosenthal e Ed Ruscha e tante altri personaggi di questo rango che sono stati interpellati per suggerire il loro non-artista che più li ha ispirati.

200 incredibili opere realizzate da artisti totalmente inconsapevoli della forza della loro arte. Principalmente si tratta di  schizofrenici, homeless, sordomuti, ma anche alcune persone assolutamente comuni per cui l’arte era soltanto una modalità d’espressione o di sfogo, senza main_room_2pretesa di visibilità. Personaggi per lo più vissuti nel’arco del ‘900 e spesso morti senza nemmeno sapere di essere diventati oggetto di ammirazione e d’ispirazione per via dei loro lavori. Opere ritrovate in cantine, mansarde, case di cura, alcune fortunatamente valorizzate a distanza di anni: è da questo milieu che nasce questa mostra. L’emarginazione sociale ed il fragile equilibrio psichico sono le linee guida attraverso le quali viene gridato il loro messaggio, in una collezione eterogenea che possiede una forza quasi primitiva, talmente è viscerale. 

Una così vasta selezione rende impossibile un ben documentata riflessione su ogni artista ed è perciò difficile rendere merito ad ognuno di essi. Ma vi sono opere che è impossibile non citare.
I ritratti delle dame tristi di Magde Gill, una vita spesa nella solitudine, che prende il volto di queste sue muse. Raffigurazioni di femme fatale dallo sguardo malinconico e frastornato di chi alla vita ha dovuto soccombere.
Gli autoritratti di Alexander Lobanov, sordomuto russo, rinchiuso in un ospedale psichiatrico che con una seriale rappresentazione di autoritratti in vigorosa posa da eroe, raffigurandosi sempre con il fucile spianato, sembra voglia compensare quella fierezza che la sua menomazione gli ha negato.
La libertà del volo di un aeroplano nei mosaici di Charles Dellschav e le sculture sature di materiali metallici come le gabbie e ragnatele di rame di Emery Blangdon, come non possono parlarci dell’isolamento e della sofferenza psichica dell’internamento. Così come per l’ossessività della pergamena di parole sovrapposte di Harol Stoffer e delle angoscianti tragedie dei Friday Disaster di George Widener.

Friday_Disaster_-_WidenerMa c’è anche ironia, come nei drappi del reverendo visionario americano Howard Finster che usa la retorica maccartista dell’ America degli anni ‘50 per ricordare la vergogna discriminazione razziale. Oppure sorridere davanti a Guns Under The Table di GT Miler, che ritrae un ideale tavolo di trattativa fra lavoratori e businessman, nella quale i primi sotto il tavolo hanno delle pistole pronte a sparare nel punto più “sensibile” dei loro arroganti sfruttatori. Due pazzi, decisamente, per l’America di quegli anni.
Arte gratuita, libero spazio alla generosità dei tanti visitatori e sublime selezione musicale che accompagna il pubblico durante il percorso. Se il nome del museo poteva sembrare inizialmente pretenzioso, è assai piacevole ricredersi e rincasare doppiamente soddisfatti.

Claudio Aleotti

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