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IV appuntamento al MArteLive 2008: SUD. Suoni di tradizione

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La vita e il declino in scatti fotografici

Non potevano essere più diverse le fotografie che hanno impreziosito le pareti della sala rossa dell’Alpheus. Per stile, tecnica e temi trattati, i tre fotografi in concorso presentano personali visioni e ci permettono di ascoltare la loro musica grazie ai loro occhi. Sono le sperimentazioni chimiche di Adriano Gasparini Gomes, non gli abbagli della mente, le note che percepiamo nell’armonia delle sue foto.
Ne Music 4 the eyes le sensazioni non sono solo visive perché Adriano, in continua sperimentazione con se stesso, gioca nella sua camera oscura come un apprendista stregone. I risultati sono pura magia: il bianco e nero antico e la carta spessa rendono le immagini vibranti e sonore. Nel laboratorio alchemico il fotografo della musica si diverte a presentare le sue trasformazioni auree, i viraggi di questa tonalità rendono i toni bianchi di un calore estremo e la trasparenza diventa ritratto. Un modo antico di fotografare per uno sperimentatore che ha deciso che il suo rigore è quello di provare ciò che è antico per raggiungere evolute visioni.

Se pensiamo ad un reportage per la sola funzione dello stesso e per i temi trattati pensiamo alla concretezza dell’immagine, quando poi la trattazione ha come titolo Esquilino, centro romano multietnico, l’aspettativa rispetto alle tematiche affrontate è quella di un’osservazione precisa e netta, descrittiva soprattutto nel suo svolgimento. Invece Elio Di Girolamo riesce a supporre e non solo a spiegare, ci pone di fronte all’interrogativo dell’altro. Con un gioco di specchi e di rimandi pone l’immagine come rappresentazione di se stessa non sondandone il senso, piuttosto chiede a chi visiona cosa è la diversità e cosa è la forma della diversità ponendola come una trasfigurazione del nostro occhio. Solo una sensibilità acuta poteva usare il reportage in modo così complesso e non chiuso nel racconto esplicito.

Per capire le foto di Guglielmino Pietro bisogna immaginare qualcosa di completamente diverso dal reportage. I richiami alla storia di Anatas, antico manicomio di Marcigliana, servono al fotografo siciliano a parlare con il linguaggio del cinema. L’immagine è morbida ma non per questo perde la sua drammaticità. La decadenza delle mura e il verde acuto dell’erba, che risucchia il percorso dell’entrata, servono a lasciare che un corpo di donna fluttui su un cammino che è intessuto dei ricordi di quello che fu un vissuto di disperazione. Il dramma del luogo non deve essere raccontato, basta la sua presenza a incorniciare i gesti lievi e inconsistenti. Si spiega in tal modo l’estinzione di una struttura ma non la perdita del tormento che rappresenta. Anatas è fissato con la tecnica purificatrice della fotografia stenopeica e le tonalità che paiono deformate e duttili non sono rese da nessun artificio tecnico ma dalle capacità di un fotografo con una sua proprietà di linguaggio anche se con uno stile carico di rimandi.

La sala dedicata alla fotografia è diventata un percorso ed ha fatto dell’arte i temi della quotidianità impressi come domande aperte, con la musica che si muoveva tra i contrasti direzionali del bianco e nero, mantenendo pur sempre una tensione drammatica.

(Rossana Calbi)

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