IV appuntamento al MArteLive 2008: SUD. Suoni di tradizione
Maurizio Matrone: un commissario incantato
Nella sua ultima fatica letteraria, il commissario-scrittore bolognese Maurizio Matrone, inserendosi nel solco del realismo magico, ha rielaborato “La vita intensa” di Bontempelli, un testo di inizio Novecento,e lo ha rivisitato filtrandolo con la sua sensibilità facendone, analogamente a quanto accade tra i musicisti, una cover godibilissima, in cui l’humour noir, la sperimentazione e il gusto per l’avventura non sono disgiunte, al solito, da un pizzico di autobiografismo.
Il commissario incantato, in cui non è difficile infatti scorgere un alter ego dell’autore, è stato promosso funzionario per meriti letterari, ed immagina di raccontare le sue storie ad un personaggio real-mente esistito, l’amica prematuramente scomparsa Wilma Lanzarini, promotrice del poliziesco a Bologna. Abbiamo rivolto qualche domanda “in semilibertà” a Matrone, consapevoli che ci avreb-be smascherato senza troppe difficoltà.
Nell’antologia La donna nel ritratto lei è presente con un racconto insieme ad altri scrittori tra cui Andrea Pinketts, che come lei, concilia l’attività poliziottesca/investigativa con la scrittura. C’è qualche altro punto di contatto tra voi? Un certo sarcasmo?
A lui piace molto la birra, anche a me, ma lui ne beve molta di più e la “tiene” molto meglio. Per quanto riguarda lo stile, il suo è unico, è un genio nel suo genere, ha veramente un gran senso della frase. Per quanto mi riguarda, soprattutto in questo mio ultrimo libro l’ironia, la leggerezza, ma non la superficialità sono le cose essenziali.
A lei piace evidenziare gli aspetti più sorprendenti delle storie, tingerle di surreale pur senza cancellare il dato realistico delle vicende. La realtà supera sempre la fantasia o questo vale solo purtroppo per le circostanze più negative?
La fantasia secondo me anticipa la realtà, e insieme fanno un bel casino anche se ci limitiamo a pensare già solo agli aspetti positivi. E’ vero che la realtà sembra essere più fantasiosa della fantasia stessa, ma è altrettanto vero che talvolta l’immaginazione è capace di anticipare appunto fatti che secondo un pensiero realistico sarebbero impensabili.
Ho letto il suo breve racconto “Sei proprio un pinguino”. I pinguini, cioè i novizi, i novellini, con la divisa ancora linda, quanto impiegano ad acquisire il “Fiato di sbirro” e quanto è doloroso questo processo di acquisizione?
Questa è una bella domanda. Intanto spesso dipende dagli ambienti. Ci sono individui che re-stano pinguini per tutta la vita, perché ancora non hanno capito purtroppo come funziona. Però, nel momento in cui lo capiscono, ecco che gli viene, la fiatella di sbirro. E quella li aiuta, perché impari così a mangiar male, a base di panini, a fare orari sballati, eccetera… E’ una scuola di vita.
Ci può confermare che per sentirsi parte di una polizia democratica uno sbirro non deve necessariamente fare il Serpico?
Anche questa è una domanda che meriterebbe una risposta molto più esauriente di quella che ti darò adesso. Io apprezzo nei poliziotti una dote importantissima, che è il coraggio. Il coraggio è anche quello di parlare, di dire la propria, di non avere paura di essere una persona, un cittadino, con il diritto di manifestare quello che si pensa. Questo è già molto democratico. Io credo peral-tro che è un mestiere anche molto intellettuale, perché ti dà la possibilità di entrare in contatto con diverse realtà, da quella del povero a quella del ricchissimo, ed incontrare lo sciagurato ed il benestante. Ciò permette a chi fa questo lavoro di acquisire un occhio particolare; sì, ecco, una sensibilità sociologica.
Come sceneggiatore si è trovato a collaborare con altri colleghi. Le risulta agevole condi-videre con altri l’impegno creativo, la costruzione di storie e personaggi? Non le fa l’effetto di farseli scippare sotto al naso? O di vederli evadere dai suoi schemi?
Quando si lavora ad una sceneggiatura in collaborazione, lo si fa in equipe, quindi quello che all’inizio era un tuo personaggio poi diventa anche il personaggio del collega. E’ facile sper-sonalizzarsi, ma se c’è intesa e vera comunicazione si lavora bene anche insieme, riuscendo a tirare fuori quel personaggio che poi è di tutti.
Lei ha detto che l’inquietudine spesso l’accompagna, malgrado si capisca che lei è una persona serena. Ci piace immaginare che talvolta tale inquietudine riesca a farla entrare per così dire nella testa dei criminali per poterli far parlare sia negli interrogatori, sia nelle pagine dei suoi libri.
Si, guarda, per la verità, oltre che di criminali ad hoc, mi è capitato anche di occuparmi di criminali-poliziotti, e specificatamente del caso della Uno bianca. E quando ho parlato di loro in chiave fiction, mettermi nei loro panni per me in effetti è stato inquietante. Ma illustrare il lato oscuro di una istituzione non deve mai significare gettarvi sopra del fango, ma piuttosto rac-contare un aspetto, una verità che alcuni avrebbero interesse a mantenere nascosta.
Quanto può durare un inseguimento? Nei confronti dell’idea di un nuovo soggetto, intendo dire. E una volta acciuffato, gli dà una bella sgrullata (intrecciandolo con spunti successivi?
Io effettivamente mi occupo di letteratura di evasione, quindi non riesco mai a catturare le storie definitivamente come vorrei; mi sfuggono e mentre le racconto le inseguo ancora ed ancora, a volte le acciuffo, a volte no. E’ un dramma, anche i potenti mezzi della polizia risultano insufficienti, con le storie!
Lei è laureato in pedagogia. Una buona dose di disincanto nel suo mestiere di poliziotto è necessaria, ma per trasmettere pedagogicamente le sue riserve di umanità, non sarebbe per caso disposto a tenere un corso di scrittura creativa sia agli accalappiacani che ai pitbull?
Eh eh… L’esperienza aiuta a comprendere le cose che ti circondano, e questa tensione alla comprensione già è uno strumento pedagogico. Soprattutto chi ci riesce impara a non conside-rare peggiore chi è “diverso”, superando una tendenza che in molti è forte. Speriamo che questo sia uno sforzo che in molti abbiano voglia di fare. Empatia, dici? Uhm, l’empatia può fare anche dei danni, parlerei piuttosto di entropatìa, che ti permette di entrare nei panni dell’altro ma anche di tirartene fuori, si deve avere la giusta distanza.
Guardando al problema della sicurezza, come possiamo guardare avanti con fiducia in mezzo all'”Erba alta” e scongiurare con un esorcismo letterario la paura che le cose ades-so non migliorino “automaticamente”?
Sempre per parafrasare, direi che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Esiste un sentimento di insicurezza che è abnorme rispetto al livello reale di sicurezza. Sembra quasi che ci sia una certa circolarità in questo problema: più si offre sicurezza, più la gente vuol sentirsi sicura. E’ paradossale: vedendo più polizia, non è detto che ci si senta più sicuri, forse vedendo meno poli-zia in giro, la gente penserebbe che va tutto bene e che non ce n’è bisogno. La sicurezza passa anche per la partecipazione dei cittadini. Un posto come quello in cui ci troviamo, l’Alpheus, dà sicurezza.
L’intervistatore balordo ha concluso il suo sporco lavoro; la ringrazio per la pazienza e invito tutti i frequentatori di MArteLive a lasciarsi incantare dalle colte affabulazioni di un commissario che sa galleggiare sulla cronaca con magica ironia.
(Marco Settembre)