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Aleksandr Isaevič Solženicyn

[LETTERATURA]

Scrittore, drammaturgo e storico russo, Aleksandr Isaevič Solženicyn, attraverso i suoi scritti ha fatto conoscere al mondo i gulag, i campi di lavoro sovietici, e, per questo merito, ricevette il Premio Nobel per la Letteratura nel 1970.
Il suo lavoro come scrittore iniziò, idealmente, proprio nel periodo del suo confino ai lavori forzati.
Infatti nel 1945 in seguito ad una lettera privata intercettata, in cui criticava apertamente l’operato di Stalin e si auspicava una nuova rivoluzione socialista, l’allora Capitano fu arrestato, degradato, interrogato e condannato a otto anni in campo di lavoro, senza neanche aver subito un processo regolare.

Ed è proprio qui che comincia il suo viaggio verso l’attività artistica come liberazione ideale ed unica forza di sostentamento. All’epoca, all’insaputa del mondo esterno, esistevano centinaia di campi nei quali venivano mandati ai lavori forzati milioni di persone, considerate dissidenti dal regime sovietico. In questi campi Libertà diventava un luogo, uno stato mentale, un’idea di salvezza che accompagnava la vita delle persone.
Durante questi anni di esilio, Solzenicyn passava le notti scrivendo segretamente quello che di giorno componeva e scriveva nella sua mente, una sorta di medicina culturale buona per il corpo, ma anche per la mente. Memorizzò migliaia di versi nei quali avrebbe raccontato la storia della “discesa al comunismo” della Russia, la creazione ed il funzionamento dei gulag, le morti a milioni che vi erano state, il terrificante utilizzo della giustizia politica, insomma, Arcipelago Gulag, la sua grande opera.
Saggio di inchiesta narrativa edito in tre volumi, scritto nel quale si ripercorre, con lucidità e precisione, il periodo di dittatura comunista in URSS, Arcipelago Gulag è un progetto grandioso che sorresse lo scrittore negli anni dell’internamento. Lo rese in qualche modo libero di essere, nonostante la realtà fosse quella tragica della condizione di prigioniero, gli rese la possibilità di raccontare che fu anche la grande forza alla quale si appellò per sperare di trovare una via d’uscita, per dare nuova forza alla dignità umana nel vivere e per tirare fuori una voce dal cuore che altrimenti si sarebbe sopita.
Il Nobel a lui designato è stato attribuito anche per “la forza morale con la quale l’autore ha perpetuato la fondamentale tradizione letteraria russa”, come recitava la motivazione del Premio, ma, secondo noi, altro suo grande merito è stata la forza speciale con cui ha perseguito il suo lavoro, facendo sì che la sua arte divenisse un affrancamento dal dolore e un passaggio morale obbligato verso la libertà, una sorta di terapia al dolore di un’esistenza segnata dall’ingiustizia e dal sopruso. “Una parola di verità peserà più del mondo intero”, disse Solzenicyn nel suo discorso, noi aggiungiamo che una parola di verità porterà sempre con sé una speranza, che è la vera fonte di vita.

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