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Indipendent Days Festival

Eccoci finalmente arrivati all’ottava edizione dell’Independent Days Festival. L’arena è affollatissima e fortunatamente fa meno caldo dello scorso anno.Si inizia alle 14 con una serie di gruppi pop-rock emergenti che non lasciano il segno, ma che, tuttavia, riescono a intrattenere gli animi fino alle 20, quando saliranno sul palco i Tool seguiti dai Nine Inch Nails.
Aprono i Petrol di Dan Solo (basso dei Mrlene Kuntz) e Franz Goria (voce dei Fluxus). Il gruppo propone uno stoner viscerale dal suono denso e fluido.


Seguono i Billy Talent, quartetto indie-rock di Toronto. Forse la rivelazione della giornata, grazie anche al discreto carisma del front-man.
I Trail Of Dead fanno una performance molto energica, ma i passaggi troppo lenti e l’eccessiva varietà dei brani non concorrono a fare la giusta presa sul pubblico. In alcuni pezzi il gruppo ha suonato servendosi di due batterie, che eseguivano bene o male la stessa melodia. Troppa scena con i musicisti che continuavano a scambiarsi gli strumenti.

Gli Hot Hot Heat sono stati forse il peggior gruppo della giornata: concerto lungo e noioso, nessuna canzone accattivante. Il loro “synthpunk” scimmiotta i vari Strokes, etc…, senza risultare mai personale.

I Maximo Park chiudono la sezione supporters con un bello show. Con ben 6 dischi all’attivo dimostrano di avere ormai buona esperienza, ma certamente hanno pagato lo scotto di suonare prima dei Tool. Un applauso all’ eclettico cantante Paul Smith.

Alle 20 entrano in scena i Tool: il miglior metal di questi anni, condito da luci, laser ed effetti psichedelici vari. Maynard si muove sempre all’oscuro, spesso di spalle; il suo profilo assomiglia a un folletto maligno, sempre venerato dalla moltitudine di fans. L’esordio è per “vicarious”; stupende le canzoni di “10.000 Days”, in particolare “rosetta stone” e “the pot”. Pochi i classici (mancano quelli di “Undertow” e “Aenima”). Durante l’esecuzione di “Lateralus” salgono sul palco a suonare i batteristi dei Trail Of Dead. Maynard esibisce ai due ospiti dei cartelli con dei voti (un 6 e un 8…ironico…) e scherzando ne punta un altro con raffigurato un 2 al suo percussionista. Nella parte finale viene calato un enorme telo raffigurante l’artwork di “10.000 Da
ys”.

I NIN salgono sulle note dell’ intro di “Year Zero”. Trent Reznor è un personaggio superiore, un’ onda d’urto si scaglia sulla platea appena sale sul palco. Spettacolo puro e tanto pogo quando eseguono “Only”, “Gave Up”, “Terrible Lie”, “Closer”. Sul palco si sussegue un po di tutto: suonano davanti ad uno schermo, alternano pura energia rock e melodie elettroniche. Reznor, avendo la fortuna di annoverare fra le fila dei Suoi il tastierista italiano Alessandro Cortini, gli fa tradurre un breve discorso anti- case discografiche e a favore del file-sharing musicale, incitando la gente ad andare a vedere la musica suonata dal vivo. Subito dopo partono le note di ”The Hand That Feeds” e, dopo aver distrutto l’attrezzatura sul palco, Trent ritorna, da solo, e davanti ad uno sfondo stellato intona “Hurt”. Metallari e non di tutte le età si stringevano commossi in un silenzio religioso.

Mezzanotte circa: lo show è terminato e tutti sono entusiasti. Le 3 ore finali sono state indimenticabili. Sarebbe stato memorabile vedere gli headliner suonare almeno un pezzo insieme, ma non si può avere tutto. Per quanto riguarda l’organizzazione: unico neo la presenza minima di stand mangerecci, che causavano file di 20 minuti semplicemente per prendere una bottiglietta d’acqua. Per il resto, tanta musica e molto divertimento.

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