Dopo “In the wake of Poseidon”, visionario seguito di “In the court of the Crimson King”, di cui in buona sostanza replicava la struttura, i King Crimson rimasero un’identità slabbrata ed evanescente, priva di un vero gruppo da portare in una qualche tangibile tournèe.
E’ sicuramente di buon auspicio il titolo del nuovo album dei romagnoli Nobraino. Disco d’oro nell’immaginario collettivo rimanda subito al ben noto premio discografico. Anche se, a sentir loro, la scelta è venuta dalla volontà di investire su di un unico colore, l’oro come metafora del bene rifugio, che in questi tempi di crisi è più un bene mancante.
Ogni volta è come andare dal dentista. Lo diceva anche Artaud. Lo stato d’animo è lo stesso, pensi di non morire per quello che sentirai, ma sai che non ne uscirai integro. Ora che il sarcasmo è diminuito è lo stesso. Ho sentito, letto e parlato con persone gettate nella crisi più totale da Il Mondo Nuovo.
E’ un fottuto spreco. Esce via Garrincha Hanno Ucciso Un Robot, seconda fatica discografica firmata The Walrus, e ci si ritrova un tantino con le pive nel sacco. Abbastanza sorprendentemente, peraltro. Un po’ magari sarà disincanto, un po’ forse colpa nostra che non vedevamo l’ora di raccontare il trionfo dei Buoni nella fattispecie di un altro pezzetto di quel piccolo miracolo tuttora in corso nella Livorno dei Jackie O’s Farm, dei Le Gorille, dei Bad Love Experience e svariati altri che ora dimentichiamo.
Di recentissima formazione, ma già abbastanza attivi sul territorio, i Mandrake nascono nel 2010 dall’incontro tra i brani scritti e musicati da Giorgio Mannucci e le note di quattro strumentisti: una violinista Asita Fathi, una contrabbassista Stella Sorgente, un trombettista Mauro La Mancusa e un percussionista, Dario Gentili.
“Si possono avere, sul senso della vita, idee molto diverse e persino opposte…” Se si compra un libro che ha come titolo Il senso della vita, ci si aspetta di avere una risposta chiara, e non dei puntini sospensivi.
Antonia Arslan, scrittrice e saggista di origine armena, con il suo Il libro di Mush, Skira Edizioni, ci riporta indietro ad una tiepida notte di fine giugno del 1915, quando cinque fuggiaschi (tre donne, un bambino ed un uomo) si allontanano dalle rovine del loro paese nella valle di Mush.
Che la scrittura di Andrea Camilleri fosse pungente e a tratti tagliente non è mai stato un segreto, ma con Il diavolo, certamente il maestro agrigentino tocca il culmine massimo dell’amara ironia. Il libro si presenta come una raccolta di 33 brevissimi racconti ognuno originariamente di 3 pagine, come a voler legare la sua opera a questo numero che del diavolo è la metà.
Come è noto, Il Re Pallido è stato pubblicato postumo, perciò non nella versione che David Foster Wallace avrebbe voluto leggessimo. A creare il tomo ha provveduto l’editor e amico di DFW, Michael Pietsch, che ha letto le oltre tremila cartelle lasciate dall’autore, ricavandone le circa cinquecento pagine del romanzo (in italiano, settecento).
La vicenda si svolge durante il novembre 1958, in Iran. Protagonista è Nasser Ali Khan (Mathieu Amalric), un famosissimo suonatore di tar, che decide di lasciarsi morire dopo che la moglie, adirata, rompe il suo prezioso strumento musicale.