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MArteLive 2008 V serata: le nuove strade della sperimentazione

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Un concerto riuscito quello dei Quintorigo, che hanno saputo mescolare in giusta dose sperimentazione e coerenza musicale. La loro produzione è peculiare, possono considerarsi forse tra i (pochi) gruppi italiani attuali che meritano l’appellativo di innovativi, ma allo stesso tempo la loro musica riesce sempre a non peccare di ingenuità.
Dimostrano di saper sperimentare, ma in maniera colta. La loro innovazione non diventa insomma strumento per mascherare l’assenza di sostanza o di una solida base di tecnica strumentale. La ricerca musicale è fine, rivela l’impegno di un gruppo di appassionati che hanno indagato tra i vari generi, cercando in ognuno nuovi spunti creativi che vadano ad arricchire la loro produzione. Tra le contaminazioni ricordiamo prima di tutto il jazz, ma anche il reggae, il soul, la musica classica e il funk (solo per citarne alcune…). Ma ciò che distingue veramente la produzione del gruppo è l’assoluta scioltezza con la quale riesce a sfruttare ogni capacità espressiva dei loro strumenti. Un violino, un sax, un contrabbasso e un violoncello sono manovrati abilmente da mani che per anni hanno suonato la musica del Conservatorio e i suoi aspri esercizi tecnici; mani che non dimenticano questa sapienza, ma la mettono al servizio della creazione di qualcosa di nuovo.

Quando entro in sala, il concerto è già iniziato da qualche minuto. Arrivo quindi nel bel mezzo della performance. Ad accogliermi sono violini stridenti, sovrastati da una voce soffice, ma corposa. Mi faccio trasportare da archi che strillano, producendo sonorità che richiamano al jazz e non solo. Il pubblico è attento e numeroso. Quasi tutti sono seduti ed in silenzio. I Quintorigo stridono, ma sono capaci. Deformano i suoni, portano i loro strumenti al limite delle loro capacità espressive, ne indagano ogni minima sfumatura.

La prima parte del concerto è dedicata alle canzoni degli ultimi album; è poi l’ora dell’America nera del reggae con l’interpretazione di “Redemption Song” di Bob Marley; un po’sommessa, forse; gli angoli sono un po’ troppo smussati e questo ancora più se si pensa alle vecchie interpretazioni del gruppo, come quella di “Purple Haze”, dove gli archi dei Quintorigo non hanno nulla da invidiare alla chitarra di Jimi Hendrix. Ma tornando a Redemption Song, il grande pregio dell’interpretazione sta nell’abilità della Cottifogli, che sa conferire un alto livello tecnico e una grande finezza stilistica.

Per quanto riguarda le vecchie canzoni, il pubblico si fomenta con “Kristo sì”, con una interpretazione molto black, almeno quanto lo era quella di De Leo, soprattutto nella parte “Hear me now! Can’t you hear me?”, dove nemmeno i più nostalgici possono rimpiangere la vecchia formazione. In “La nonna di Friederick lo porta al mare” non muore la forte venatura reggae; gli archi sono suonati con la tecnica del pizzicato; il sax emerge con le sue salite e discese virtuose dalla tastiera; esce dall’atonalità, ma non dalla sperimentazione… Poi sul finale, in “Alligator man”, la sala si è animata: ogni persona ha riprodotto il verso di un animale, accompagnando l’esibizione del gruppo.

I Quintorigo sono al loro capitolo secondo, dopo l’abbandono di un John De Leo che ormai – a detta dei componenti del gruppo – pareva lontano dalle esigenze di crescita della band. Forse manca la sua voce unica nel genere, ma a rimpiazzarla è stata quella altrettanto capace di Luisa Cottifogli, che tra l’altro conferisce al gruppo ulteriore raffinatezza tecnica. Una linea melodica vocale che incarna stili a volte ben definiti è accompagnata da continue dissonanze degli strumenti, dando vita ad un insieme sempre perfettamente armonico.

(Stefania Carta)

 

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