Spariti!
[CINEMACITTA’]
Dal 13 marzo è partita un importante rassegna che racchiude in sì tre eventi per rappresentare dei docu-cinema (ovvero documentari cinematografici) che sono stati insabbiati o meglio ancora censurati dal nostro paese: sono quei film invisibili decisamente scomodi, che ci mostrano la realtà di tutti i giorni, che a volte rifiutiamo o facciamo finta di non vedere e per tre settimane di fila questa rubrica ne tratterà le sfumature, scivolando verso il fulcro del problema.
L’evento “Spariti!” dello Spazio Sociale Centocelle Aperte, si porta dietro il compito di ospitare per una serata queste pellicole e di parlarne tramite un dibattito, per scoprire e chiarire il perchè della loro pseudo censura.
Entrando nell’ampia sala colorata del centro sociale mi accorgo che nulla è stato lasciato al caso: sei tavolini in legno sono stati ben disposti al centro della stanza, abbelliti da libri come La rassegna del documentario o La guida del Torino Film Festival, un piccolo piano bar si trova a fondo sala e mi invita a provare il vino biologico della casa ed infine, tra svariati poster e il grande striscione che reclama lo slogan “100 celle aperte”, osservo anche un angolino dove troneggia la scritta “sostieni il cinema indipendente” con annessa mensola e il dvd in vendita da richiedere al bar.
Il film del giorno si chiama Vota Provenzano diretto da Salvatore Fronio e prodotto da Elena Bernardi, e proprio come suggerisce il titolo si parla di elezioni politiche, esattamente quelle del 2006.
Il documentario nel pieno della sua provocazione tenta di capire come il termine “mafia” venga concepito al giorno d’oggi dalla massa popolare: l’unico sistema è fingere un’assurda elezione politica dell’ex boss di Cosa Nostra, ovvero Bernardo Provenzano, come Primo Ministro nella “Grande Famiglia Italiana”, un partito trasversale destinato a cancellare gli schieramenti.
Attraverso tre città come Palermo, Napoli e Torino, la campagna elettorale prosegue accaparrandosi le risate della gente o le astiosità di altre fin troppo indignate o preoccupate da risvolti prettamente pericolosi.
La pellicola inizia con una citazione di Benito Mussolini: “Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io” e risale alle ultime parole del Duce, nel suo testamento politico, poi prosegue con ben due pubblicità italiane che descrivono perfettamente il pensiero “mafioso”: una del 2005 della Renault che rappresenta dei criminali che tranquillamente depongono dei cadaveri dietro il bagagliaio e l’altra del 2003 della Nissan, dove una macchina scoppia tipicamente alla Casinò (film di Martin Scorsese), come omicidio mafioso premeditato.
Sarebbe scontato ammettere che in questi anni il cinema e il mercato dei media hanno usufruito spropositatamente dell’immagine della mafia, issandola come simbolo a volte supremo e altre semplicemente ridicolo: dall’idolatrata trilogia del Padrino di Coppola, alla famosa serie tv I soprano fino ad una scena di Robin Hood un uomo in calzamaglia di Mel Brooks, nel quale uno scagnozzo mafioso dello sceriffo di Ruttingham, Don Giovanni (chiara imitazione di Brando nel Padrino), promette a quest’ultimo di fare fuori, in maniera “sporca”, il principe dei ladri.
Si potrebbero citare perfino i Simpson e altri cartoni animati di sorta, ma il mercato non si ferma soltanto sul piccolo e grande schermo, bensì anche nel mondo della moda, tramite marchi che oggi fanno piazza pulita di vendite, perchè l’individuo comune si sente semplicemente “forte” indossando simili richiami.
Si ricade addirittura sul mercato della musica, con quella che viene considerata la musica della mafia, ispirata alla ‘ndrangheta, ovvero ad un organizzazione criminale calabrese: dagli anni ’70 si sono diffuse cassette e dischi dove vengono cantati fatti e storie della criminalità mafiosa, sottolineando i loro valori e i principi, diffondendosi facilmente dalla Germania al resto dell’Europa, fino agli Stati Uniti.
Non a caso arrivò anche il Times a parlarne, facendo apparire a chiari lettere la dicitura “Il lato della musica della Famiglia” ed è chiaro come ormai un concetto così importante sia stato distorto dal resto del mondo, usato non solo per fare soldi ma anche per raggiungere importanti livelli sociali, attraverso quella che viene chiamata intimidazione.
Su questo punto anche il videogioco “Il Padrino” ci rappresenta un classico esempio che Fronio usa perfettamente all’interno della sua pellicola: guidando il proprio aspirante Don andiamo all’interno di un locale, a chiedere il pizzo e la devozione annessa, e dopo svariati tentativi di convincimento (prendiamolo per un colletto e scuotiamolo) otteniamo, tramite la paura, una nuova collaborazione o meglio sottomissione.
Stiamo parlando solo di un videogioco, che arriva ad istigarci sull’immagine del potere e che ci porta con tanto di accento calante a rubare una macchina per strada.
Il documentario di Fronio, frizzante ed audace colpisce su più punti la società di oggi, in maniera brillante e decisamente movimentata, facendoci ridere e allo stesso tempo riflettere sulle assurdità della popolarità mafiosa, una volta sintomo di terrore e di ingiustizia verso quelli che dovrebbero essere i nostri più sani principi.
Si sa che il cinema indipendente non ha vita facile e ancora di più se i progetti di questi intraprendenti registi vogliono colpire un determinato problema che riempie la nostra società; eppure con l’era di internet e l’avanzato progredire dei mezzi di comunicazione sembra impossibile ormai contenere o fare tacere queste voci che si fanno sempre più strada, gridando ai cittadini che la menzogna non è più un opzione praticabile.
Sono film invisibili, film spariti e dato che il silenzio questa volta non verrà usato, vi lascio con un pezzo scritto dal regista stesso e reperibile sul sito http://www.votaprovenzano.org.
“La lotta alla mafia è finita, non esiste nè può esistere più. E i Livatino, i Terranova, i Mancuso, i Falcone, i Borsellino, non sono solo morti invano: ma hanno anche assunto un’aria vagamente ridicola. La loro fiducia nella legge, i loro caratteri fermi, le loro idee: tutta roba sorpassata, bagaglio polveroso di simpatici vecchietti buono per fare al massimo una fiction. Anzi neanche più quella, dato che di questi tempi i protagonisti delle fiction sono i mafiosi. Oggi, nessuna idea da difendere. Oggi, nessuna lotta da portare avanti. L’unica forma possibile di lotta alla mafia, oggi, è cercare di farla nostra. L’unico modo per combatterla, è imitarla. Benvenuti nel ventunesimo secolo. La mafia è vinta. Evviva la mafia!.
di Alessia Grasso