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7 14 21 28 Il disordine di Antonio Rezza

Rezza2
[TEATRO]

Rezza2ROMA- Se ci si attende di assistere alla messa in scena di una storia con un filo logico da seguire e di godere quindi di una trama rassicurante cui aggrapparsi, che miri a guidare lo spettatore verso la comprensione di un intreccio narrativo, il nuovo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella non è di certo da consigliare.

Ciò che infatti l’irriverente comico, secondo la sua migliore tradizione porta sul palcoscenico con 7 14 21 28 è un gioco teatrale dal riso amaro – a tratti drammatico – in chiave comica che non presenta né capo né coda senza per questo risultare privo di senso o indigesto.
Fatto di giochi di parole, filastrocche, leggende, favole e sketch irriverenti sul teatro contemporaneo, sulla critica d’arte, sul precariato, sulla sanità, sulla pedofilia e sulla religione, senza remore verso niente e nessuno, l’ultimo lavoro di Rezza mette drasticamente in luce molti degli aspetti più drammatici e assurdi dell’esistenza umana, offrendo al pubblico, continuamente preso di mira come ricettore privo di intelligenza in perenne letargo intellettuale, rappresentazioni dissacranti in cui si assiste alla messa al bando del senso comune e del perbenismo.

Lo spettatore navigato e appassionato delle performances della premiata ditta Rezza-Mastrella,Rezza3 abituato a questo tipo di trattamento in un certo senso ne gode masochisticamente poiché le “aggressioni” dell’artista – guai a chiamarlo attore! – sembra risveglino realmente da un torpore che poche volte riesce a essere scalfito fruendo di rappresentazioni artistiche.
La numerazione che compone il titolo non esprime di certo un ordine razionale, ma rinvia al disordine che è nelle cose, sbeffeggiato con gusto sarcastico sin dalla prima battuta (“Io sto bene…a volte dall’esterno non sembra…ma io sto bene”) che recitata con voce stridula dondolandosi e contorcendosi su un’altalena – perno di tutta la scenografia e simbolo del tentennamento e dell’oscillazione cui il lavoro è ispirato – dà il “la” ad uno spettacolo che coinvolge lo spettatore con monologhi pungenti e arguti e che, come ironizza lo stesso Rezza, di certo “non strizza gli occhi ai sacramenti”.
Interprete anarchico con una forte vena surreale il performer recita sketch terribili e irriverenti di cui è autore dandosi anima e corpo alla sua arte, deformando la faccia e usando la parola come prolungamento del gesto, come fosse carne della sua stessa carne e parte fondamentale dell’azione fisica, in cui il significato a poco a poco si scioglie e si disperde per diventare appunto gestualità insignificante e proprio per questo di grande forza e impatto.

Alice Salvagni

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