Quelle due, ovvero La Calunnia
[TEATRO]
ROMA- È il dramma di Lillian Hellman ad aprire la XIX edizione della rassegna di teatro omosessuale Garofano Verde, dal 12 giugno al 1 luglio al Teatro Belli di Roma.
Un testo già consacrato sul grande schermo, negli anni Sessanta, dal regista William Whyler con Audrey Hepburn e Shirley MacLaine, qui riadattato da Luciano Melchionna. E le scene del film The Children’s Hour sono le stesse che ritroviamo sul fondo del palcoscenico, proiettate su un personaggio atipico, seduto a mezz’aria nel vuoto come un curioso Stregatto. Una splendida ragazza bionda (H.E.R.) con in mano un violino che è a un tempo voce fuori campo e più personaggi insieme. Ai suoi piedi, sei figure sedute, che in parte leggono e in parte recitano, sfogliando un copione di cui sono vittime più che attori. Carolina Crescentini, Sandro Giordano, Renata Malinconico, Lucia Mascino, Paola Sambo e Giorgia Trasselli. Su tutti incombe un destino segnato dalla calunnia – altro titolo dell’opera, appunto – dove la verità si perde nelle parole, i fatti appaiono incerti, la redenzione una possibilità non contemplata. Siamo nell’America del primo Novecento, dove in una scuola per fanciulle insegnano Karen e Martha, amiche in maniera strana, forse più che amiche, amiche come due donne non dovrebbero essere. Questo per l’opinione comune, sempre pronta a raccogliere il pettegolezzo, a dar più credito alle fantasie di una bambina viziata e egoista che alla professione di innocenza di chi è chiamato in causa. Accade così che le due insegnati accusate di tenere una relazione peccaminosa vedano franare le loro vite proprio su quel piccolo pezzo di terra dove le avevano strenuamente edificate, a costo di rinunce e sacrifici. E il dubbio che le travolge è lo stesso che serpeggia nella sala, tra le poltrone, in mezzo agli spettatori, incerti a chi credere fino alle ultime battute, quando tutto si risolve in tragedia e l’unica catarsi è affidata agli applausi. Un’opera davvero molto bella che si farà ricordare. Per la bravura dei protagonisti (tutti impeccabili), come per la semplicità della trasposizione. Per l’allestimento scenico, ridotto all’essenziale, dove anche un singolo oggetto sarebbe stato di troppo. E per il coraggio del regista, pronto a fondere stili e linguaggi in un’inedita contaminazione.
Matteo Mastrogiacomo
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