Imitare se stessi: Alva Noto & Blixa Bargeld
[MUSICA]
ROMA- Nella Sala Petrassi dell’Auditorium, il 31 marzo scorso, Alva Noto e Blixa Bargeld ci hanno fatto riattraversare dal vivo la loro ricerca d’insolita quanto azzeccata coppia, autori come sono, sotto sigla ANBB e per l’etichetta di Noto-Carlsten Nicolai Raster Noton, di un ep – Ret Marut Handshake (in omaggio all’anarchica figura Ret Marut, scrittore disseminatosi tra diversi nomi e diverse lingue dagli anni ’20 in poi) – e un lp, Mimikry, regalato all’umanità nel 2010 all’insegna della più vorace lucidità di sguardo, d’azione, d’indagine.
Il collasso della quiete è sempre dietro l’angolo. Da un lato Alva Noto, una mente che ha trasformato i guasti elettroacustici in materiale sonoro di partenza o di ripartenza del suo s-comporre minimo e regolare. Dall’altro Blixa Bargeld, il leader dei già qui ri-visti Einsturzende Neubauten (http://www.martemagazine.it/report/item/13826-einsturzende-neubaten), in questa occasione nel pieno dell’esplorazione della sua cangiante e dirompente vocalità. Una voce posseduta da un daimon religioso-ironico e solenne, e contemporaneamente spossessata tramite una serie di echi, delay, feedback sonori, rimandi e sovrapposizioni stratificate, provocando quella che ai sensi giunge come un’esperienza entropica e sintropica al contempo.
In un décor di essenzialità minimale (sullo sfondo le geometriche variazioni cromatiche di Noto-Nicolai già intraviste ad esempio nell’ultima edizione di Digital Life) la drammaturgia dei suoni è agita in un ripetuto incontro/scontro tra quel “lato sinistro” delle corde vocali, caro al cantante tedesco (la sua profondità timbrica oscilla tra il grave e l’acutissimo-stridulo: si passa dal gorgo orrorifico di pezzi come “Fall”e “Wust” al dolce tormento di “One” e “Mimikry”) e quel gap armonico e sintattico fornito dal suo conterraneo, abile nel rafforzare quell’ambiguità della performance live che fa dubitare a tratti su quanto quei “glitch”, intoppi, guasti e (presunti) errori siano voluti o meno. Punto di convergenza forse quel che potrebbe essere l’emblema, il manifesto della loro ricerca, per nulla impressionista: “Electricity is fiction”.
Il tormento dell’anima allora si declina partendo da una base teoretica forte e radicale, strategica; passa poi attraverso un rigore esecutivo apparentato con la più mefistofelica compostezza infernale in doppio petto, virando dalla lingua tedesca più tragica e spigolosa all’inglese più rotondo e “armonioso”; trova l’esattezza in quel gap-inciampo dell’armonia che fa fibrillare i timpani nella lotta tra una pulsazione regolare e l’eleganza del perturbante, intrecciando le componenti meccaniche del suono ad una presenza scenica nervosa e carismatica; raggiunge infine l’esattezza chirurgica tipica d’un ferino e sorvegliato aguzzino della melodia, in una molteplicità di registri e in una s-compensazione di piani che ci suggerisce quale possa essere l’equilibrio di chi rimane vigile anche mentre sta per crollare.
Salvatore Insana
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