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P. Tagliamonte, I gatti di Hemingway e altri mici importanti

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I-gatti-di-Hemingway-e-altri-mici-importantiHemingway, Lessing, Twain, D’Annunzio: oltre ad essere stati posseduti dal demone della scrittura, questi ed altri personaggi del mondo della letteratura hanno in comune l’amore per il gatto e molto spesso non per uno soltanto, visto che le loro case erano popolate da molteplici felini che sonnecchiavano sulle scrivanie accanto alle leggendarie Royal.

Patrizia Tagliamonte con I gatti di Hemingway e altri mici importanti ha cercato di indagare il binomio gatto-scrittore così frequente nel mondo delle lettere, forse perché entrambi sono necessariamente esseri indipendenti. Ne scaturisce un legame misterioso e intenso, fatto di sguardi e gesti, e di pazienza e devozione, le stesse che richiede anche un libro. Il filo conduttore, dunque, c’è.
Sembra che in casa Hemingway i gatti se la spassassero. Si trattava di esemplari con una rarità genetica che li dotava di sei dita, i cui discendenti popolano tutt’oggi la casa museo della Florida dove l’autore abitò prima di trasferirsi a Cuba. Pare che il tenore delle sue telefonate, quando si trovava via da casa fosse “Snowball sente la mia mancanza?”, “I cuccioli mangiano abbastanza?” “Ha preso le vitamine?”.
L’avventuroso reporter di guerra, cacciatore d’Africa e pescatore d’altura si rivela una sorta di mamma apprensiva in questo ricordo privato di Franca Pivano, assidua frequentatrice di casa Hem. Ai suoi amici aveva riservato un intero piano dell’abitazione adibito a sala giochi e nursery. Il suo preferito era un maschio di nome Snowball, grande amatore e cacciatore, insomma una solida amicizia maschile. Nel corso degli anni la sua discendenza si è accresciuta così tanto che le autorità di Key West hanno intimato ai gestori della casa museo di impedire la loro libera circolazione, pena lo sfratto. La battaglia legale è terminata dopo cinque anni e i polidattili felini di casa Hemingway ora continuano a guardare di sottecchi i turisti tra un sonnellino e uno spuntino.

Un altro big della letteratura mondiale amava il suo Tyke in una maniera quasi morbosa. Jack Kerouak legava indissolubilmente l’elegante animale a suo fratello Gerard che gli aveva insegnato ad amarlo fin dalla tenera età. Il racconto di come apprese la notizia della morte del suo peloso fratellino, può sembrare una reazione anormale ad un accadimento di poco conto, come lui stesso spiega, ma l’intensità del legame che risalta nel ricordo del piccolo gattino rannicchiato nella sua mano spiega meglio di qualunque interpretazione psicologica il tipo di rapporto nato tra l’uomo e la bestiola. Amore.

Mark Twain, invece, insegnava ai suoi gatti a giocare a biliardo. La sua preferita era Katalina, pronta a sferrare attacchi di sorpresa sul tavolo verde e ad infilarsi nelle buche. I suoi undici gatti avevano nomi strani e impronunciabili, perché questo, a suo giudizio, permetteva ai suoi figli l’esercizio nell’arte della pronuncia. L’ironia di questo autore ben si confà a quella dei gatti, esseri sornioni, intelligenti e un po’ snob. Li portava persino con sé dal barbiere, giurando che ne fossero felicissimi.

Ci sono anche degli italiani nella schiera deli amanti dei gatti: la scrittrice torinese Alessandra Scajola confessa simpaticamente “Io li adoro, loro mi tollerano” e di loro popola diversi suoi romanzi. Fulvio Abbate, giornalista, nel suo programma Teledurruti (televisione monolocale) è stato accompagnato dalla sua Trappi come il cattivissimo Stavro della Spectre – parliamo dei film di James Bond. Infine anche il feroce satiro de Il Male Filippo Scòzzari cede all’amore del nobile animale. Ve lo immaginate mentre cura la sua gatta che dà alla luce un batuffolino quasi morto, che poi ce la fa e cresce diventando una magnifica gatta di nome Meringa? Fatelo, perché nessun cuore è mai stato troppo duro per le unghie di un gatto.

Patrizia Tagliamonte, I gatti di Hemingway e altri mici importanti, Struwwelpeter, pag. 143, € 14

Francesca Paolini

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