Marina Massironi: le porte non sono comiche
[TEATRO]
ROMA- Il Teatro Umberto è pieno e la folla ha da poco preso posto, quando il sipario si apre su Marina Massironi, che per il suo debutto nel regno dei monologhi ha scelto di interpretare Paula Spencer, la protagonista trentanovenne de La Donna Che Sbatteva Nelle Porte, romanzo dell’irlandese Roddy Doyle.
Sul palco con lei solo un frigorifero anni ’60, un tavolo con delle sedie, un lettino e un comodino di quelli che si usano negli ospedali. Alle spalle un muro con una porta, la stessa a cui hanno bussato gli ufficiali, dandole la notizia della morte del suo Charlo. Inizia così lo spettacolo: una donna sconvolta dalla morte del marito, che ripercorre col pubblico la sua storia d’amore dal primo incontro a quando ha avuto la forza di cacciarlo di casa. All’inizio Charlo viene presentato solo come mancante della galanteria che certamente avrebbe avuto Robert Redford al suo posto, però man mano che Paula continua a raccontare, vengono fuori gli anni di violenza subiti dalla donna in silenzio. Quello stesso silenzio che lei avrebbe potuto rompere se, come dice lei stessa, un medico le avesse chiesto come si è procurata tutte le ferite che la portano continuamente al pronto soccorso. Ferite non solo nel corpo della donna, ma anche nell’anima: il sentirsi responsabile per azioni che non sono in alcun modo dipendenti da lei. Paula ne è cosciente adesso, ma nonostante ciò ancora combatte con la parte di lei che si chiede come sarebbero andate le cose se la prima volta che fu malmenata perché si rifiutò di preparargli il the, lei glielo avesse fatto senza fiatare. Non solo la violenza, ma anche la beffa: una sera dopo averla picchiata le chiede come si sia procurata quelle escoriazioni e lei, impaurita e indecisa su quale fosse la risposta giusta, gli risponde: ‹‹Sono sbattuta in una porta››, così l’amaro titolo.
Paula è alcolizzata, ma ha i figli a cui appigliarsi come uno scoglio in mezzo al mare nel momento in cui si sta per affogare, stremati dallo sforzo di una lunga nuotata. È per loro che ha chiuso tutte le bottiglie di bevande alcoliche in un mobiletto di cui getta la chiave nel giardino per poi ripescarla ogni sera, dopo che i piccoli sono andati a letto. È per proteggere la figlia dagli abusi sessuali del padre, che trova il coraggio di cacciarlo di casa a padellate in testa. Eppure il fantasma di Charlo si respira nell’aria, nella disperazione di una donna a cui non resta molto nella vita, se non la propria prole. D’altronde anche prima di Charlo non aveva avuto un’esistenza facile, con un fratello minore che ha provato ad abusare di lei e i maschi della sua città che non rispettavano minimamente le donne, se non perché appartenessero a uno di loro: così lei aveva rispetto dagli altri perché era la donna di Charlo, la signora Spencer, peccato che a non rispettarla era proprio il suo protettore dai pericoli esterni.
Marina Massironi riempie lo spazio scenico muovendosi insieme alla storia da una parte all’altra del palco e dà un’ottima prova di recitazione, con una mimica facciale camaleontica che segue i sentimenti contrastanti della protagonista.
Il pubblico attento resta in silenzio per esplodere in un lungo applauso al termine del monologo. Marina esce e torna sul palco più volte, dando quasi la sensazione di essere emozionata e imbarazzata da tanto apprezzamento. Una serata di buon teatro che non ha trascurato un tema importante, come la violenza sulle donne in tutte le sue diverse sfaccettature psicologiche.
Giuditta Danzi
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