Fralleone: segni reversibili e vive impressioni
[IL_7 SU…]
Se pure il titolo della mostra è Segni reversibili, di certo tuttavia è irreversibile l’impressione come sempre destata in noi dalle immagini guizzate fuori dal braccio da folletto di Alessio Fralleone, già vincitore del MArteLive 2009, sezione pittura.
La Galleria Whitecubealpigneto sta tuttora ospitando i risultati della performance pittorica a cui Fralleone ha dato luogo dal 26 ottobre ore 19:00 al 28 dello stesso mese, e si presenta attualmente linda e ordinata, luogo ideale per un raccoglimento estatico dinanzi a delle opere d’arte, così come risulta sin dal nome, ma questo stesso spazio, essendo deputato al contempo alla messa in evidenza di insolite quanto profonde trasformazioni della materia e dello spirito, è apparso pressoché come un tugurio artisticamente (dis)organizzato – con rispetto parlando – nei giorni in cui essa ha ospitato – uso ancora questo ternine, ma ora con una sfumatura ironica – non tanto degli oggetti d’arte, ma la corporalità orgiastica di Alessio Fralleone, che in quel cubo concettualmente sbracone e stravolto per l’occasione, ha dormito dentro, si è parzialmente denudato, ha ingaggiato un corpo a corpo serrato con i suoi pannelli ed infine ha chiamato ad interagire provocatoriamente ma con intento rivelatorio le menti e la fisicità di quegli spettatori che hanno sentito di potere/volere/dovere tracciare anche loro dei segni per mostrare come il tema compenetrasse (in un senso perfino morbosetto) anche loro quanto tutti noi, in misura maggiore o minore. Provocatoriamente, dico, perché il tema è quello delle trasformazioni sessuali e/o dell’identità, nell’ambito del progetto denominato “Myra/on trasformazioni – Omaggio a Gore Vidal” che è solo alla prima tappa. Come è noto, lo scrittore, saggista e sceneggiatore americano fu il primo a trasporre in letteratura la propria omosessualità senza costruire personaggi stereotipati come altri prima di lui fino ad allora, ma anzi illustrando questo tipo di identità con una disinvoltura che è il caso di definire inedita, e ci riferiamo a “La statua di sale”.
Con “Myra Breckinridge”, in pieno clima di rivoluzione culturale giovanile con tutto il suo portato di contestazioni (era insomma proprio il 1968) Gore Vidal forgia una creatura che si muove con audacia e spavalderia sinuosa tra ruoli sessuali, riflessioni sulla natura del potere, il rapporto dialettico tra cultura e denaro e la macchina mitopoietica tritatutto hollywoodiana, emergendone come un esemplare di una genia mutante puntato al superamento della prevaricante virilità in cui consistono, alla radice, tutti i vizi del maschio tratteggiato dall’American Dream, secondo lo scrittore. In questo caso la declinazione dell’androginia come dimensione potenziata dell’essere è al femminile, al contrario dell’interpretazione fornita da un’icona del rock come David Bowie col suo Ziggie Stardust, imbevuto di cultura glam e di flower power in versione space-oriented, ma non è infatti la prevalenza momentanea delluno o dell’altro polo ad essere il fulcro dell’attenzione, bensì il momento liminale della metamorfosi, in cui verità più profonde emergono, come in un processo psicanalitico stirato fino allo scandalo estremo della “nuova carne”, per dirla à la Cronenberg (quello di “Videodrome” e “La mosca”, non quello di “A dangerous method”).
In quest’ottica orgogliosamente malaticcia o solo meticcia (che non è poco) Fralleone, forte della sua conturbante tecnica pittorica caratterizzata da una magmatica combinazione di disegno (alla Schiele, o meglio alla Kubin, oppure, per far prima, alla Fralleone), colore espressionista e gesto dionisiaco, si è confrontato con questi elementi tematici e con problematiche concettuali più contemporanee realizzando un risultato sincretistico che si presta a diverse letture e a molteplici interpretazioni critiche, alcune delle quali potrebbero esprimersi con un giudizio di parziale insoddisfazione rispetto ad uno o all’altro degli aspetti evocati, ma questo, lungi dall’essere “normale”, categoria che nelle performance di Fralleone latita, è piuttosto inevitabile data la complessità del cambiamento che si cerca di afferrare. Addirittura non è rtaro che persone come il sottoscritto, “imprigionate” in una rigida eterosessualità, abbiano reazioni inconsulte quando vengono chiamate a confrontarsi non solo con l’indefinibile ma anche con la semplice alterità; esemplifichiamo: durante la stesura della sceneggiatura del colossal Ben Hur, Gore Vidal attribuì l’ostilità tra il protagonista e Messala ad un rifiuto sessuale opposto dal primo al secondo, causando lo sconcerto generale, la riscrittura della scena ed il rifiuto di Charlton Heston di riconoscere il coinvolgimento di Vidal nella sceneggiatura. Fralleone ha invece ha avuto il merito di far condividere ad un pubblico fattivamente partecipe, questa pittorica eucarestia di arti, sessi, lacerazioni della carta da lucido su cui visualizza i suoi tipici corpi scheletrici da scorticato terminale, e sovrapposizioni degli stessi a creare accavallamenti di membra, di impianti psicologici, di materia pittorica. La fase preparatoria è consistita nella stesura veloce di alcuni abbozzi delle sue creature decadenti e innervate sui tre grandi pannelli e nella proliferazione di innumerevoli piccoli disegni in cui queste tormentate figurine si contorcono in cerca di una posizione che esprima tutta la loro inquietudine. Dopo poco, la clausura dell’artista nel Whitecube cominciava ad essere violata da tutti quei visitatori, appassionati, fans o curiosi che un attimo prima erano fuori a spiarlo fuori dalla vetrina come se fosse il soggetto di un esperimento di psicodinamica “in vitro” e l’attimo dopo, come la titolare della galleria Togaci Arte, si catapultavano sui pennelli e sui pannelli di Fralleone come còlti da un raptus da homo faber lanciato nell’esplorazione penetrante delle proprie cavità psichiche! Tutto ciò ispirava Fralleone, il quale, in evidente trance creativa, non lasciava i suoi ospiti da soli, ma si univa a loro in un art-brain-sex-storming di inquietante e al contempo fertile promiscuità. Inquietante per chi vorrebbe continuare a perpetuare i sistemi di potere basati sull’ortodossia coatta, fertile per chi coglie, nella “trans-formazione” i semi benefici di un’attitudine non immobilista ma pronta anzi a porsi in modo cinicamente dissacrante nei confronti dei mali e le contraddizioni del proprio tempo, come faceva Gore Vidal. Mentre la lotta tra sessi viene causata dalla malintesa, spesso cieca o vuota, potenza o prepotenza del macho, la risposta della donna nella nostra contemporaneità non è meno virale ancorchè più subdola e sottile; la Myra/on del testo di Vidal invece, proprio in quanto mutante iperbolico, può assumersi il ruolo non di vendicatrice ma di giustiziere/a rivolta all’abbattimento degli stereotipi riallineando i due sessi alla ricerca di una valorizzazione morale delle individualità e di una serenità durevole delle relazioni.
Ecco allora che tutta la prassi di Fralleone acquista un senso ulteriore: i suoi uomini smunti, essenziali sino al prosciugamento, non sono alieni o androidi, ma nostri pari strangolati e risucchiati verso l’interno alla ricerca di strati più veri dell’identità, le polveri di pigmento utilizzate pure sono il pulviscolo di quelle idealità sempre sul punto di essere disperse da un alito di vento e qui invece agglutinate, la struttura muscolare e ossea di cui l’artista dimostra una solida conoscenza è invece disfatta, alterata, come se la stessa carne cercasse nuove disposizioni spaziali per far posto alle incursioni del destino e delle intersezioni con altri esseri; per questo Fralleone torna più volte sul suo elaborato per definire la storia di quel particolare ominide offrendogli il dono doloroso di nuove ibridazioni formali: non di rado i corpi si aprono in gemmazioni di altre fisicità, in biforcazioni di tronchi, sdoppiamenti bicefali, biforcazioni sessuali e accoppiamenti sofferti in cui il sesso, membro o vagina, è l’infiorescenza crudele di qualche stratificazione agnostica dettata da chissà quale nevrosi. Si tratta di una pittura d’azione ma più esplicitamente devastata di quella dell’espressionista astratto De Kooning, però “l’empatia frenetica”, come scrive la giovane curatrice critica Chiara Pirozzi, nelle ultime evoluzioni dellarte di Alessio Fralleone, punta anche al linguaggio di sintesi: l’urgenza creativa”, come gli accadeva sempre al termine del suo processo compositivo, rallenta sì nella definizione del dettaglio alla ricerca della resa ultima, ma per di più si raffredda. Nel senso di un distacco innaturale da un certo spirito decadentista, l’artista in chiave warholiana appone, sopra o sotto i suoi sudari di carta da lucido dipinti, dei cartelli con scritto “Vendimi”, “Affittami”, “Comprami”, che non sono, spiega, riferiti allo stile di vita sessuale dei soggetti raffigurati – interpretazione comunque non del tutto illegittima – ma all’opera stessa, di cui viene così sottolineato il carattere di oggetto, di merce di scambio, che dopo le manipolazioni artistico-ero-tiche bollenti, è destinato ad essere assorbito dalla realtà prosaica dei mercati, ed ecco un altro riferimento che acquista spessore in relazione al romanzo di Gore Vidal, critico, come s’è detto, anche nei confronti del denaro e del suo uso più eticamente “disinvolto”. Non crediamo sia questo il caso dei collezionisti delle opere di Fralleone, che possono scegliere se portarsi dunque a casa il prodotto di una session incan-descente o il puro segno smaterializzato di quella intima lotta tra i vari sé ed il “demone interiore” che si osserva nei pezzi privi della presenza umana, consistenti piuttosto nell’equilibrio nervoso e graffiante tra diversi pesi cromatici e segnici, che pure se ci appare meno appagante, è portatore di una sensibilità che si dimostra anche attenta all’essenza, alle scansioni geometrizzanti, ai frames mentali, al contenimento rarefatto delle pulsioni più viscerali, che restano sottotraccia nelle campiture ancora irregolari. Solo un segno rituale restava, nel lavoro astratto, dell’animalità in evoluzione: il simbolo archetipico, da antiche rune, di una vagina stilizzata.
Nel suo “uso sapiente del tempo e del ritmo visivo che accompagna la composizione del quadro” (C. Pirozzi), Fralleone raggiunge il massimo risultato in termini di equilibri formali nel momento di passaggio, a metà tra i due poli del magma artistico-esperienziale bio-psichico e dell’approssimazione all’ algido assestamento delle turbe emotive: nell’episodio centrale, in cui un nudo femminile eroso e tuttavia inarcato e allungato come un fuso, è brillantemente impaginata in riquadri che equivalgono a razionalizzazioni in itinere in cui le trasformazioni corporee e psichiche imposte da una pluralità di fattori stanno convergendo verso un’identità futuribile, fluida, elegante, negoziabile, un’unità intelligente e prismatica. Se si predilige il parametro dell’intensità, però, non si può non guardare al primo pezzo e ricordare come in esso, tra gli altri, abbiamo messo in gioco la loro indubbia capacità artisti ormai più che emersi come Luca Morici (vincitore di MArte Live 2010) e Madame Decadent (vincitrice al MArteLive 2011), tanto per ricordare a tutti che la dimensione umana è determinata da interdipendenze dagli altri e dall’ambiente, e se ci si ritrova in un “ambientino” come quello gestito dalla direttrice e proprietaria Rossella Alessandrucci, che lascia agli artisti di valore l’opportunità di esprimersi senza condizionamenti, ecco che il risultato è il segno non facilmente reversibile dell’emozione legata a questo esperimento interattivo sulle trasformazioni psico-fisiche, ricordo che conserveremo, pur “pervertito” da mille stratificazioni, negli strati più convulsi della nostra memoria, in-sieme a quello del pavimento immacolato della galleria imbrattato dei colori portati dai piedi scalzi di un Fral-leone a torso nudo che, saltando tra i tappeti che delimitavano le “zone franche”, si preoccupava un minimo anche della pancetta!
Il ciclo di mostre è realizzato dall’Associazione Culturale ed Artistica “La Stellina”, presso gli spazi della Galleria d’Arte Contemporanea Whitecubealpigneto.
Chiara Pirozzi, curatore e critico d’arte indipendente, è laureata in Organizzazione e Gestione del Patrimonio Culturale e Ambientale” presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ed ha conseguito il diploma di Master Individuale di II livello in “Cura critica e Installazione Museale” presso l’Università La Sapienza di Roma.
Il_7 – Marco Settembre
Alessio Fralleone, arti visive, Galleria Whitecubealpigneto, marco Settembre, Marco Settembre- Il_7, martelive, martemagazine, Rubrica Il_7 su, whitecubealpigneto