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Antony & The Johnsons: libertà neoromantica

Foto di Daniele Rotondo

Foto di Daniele Rotondo

ROMA – 3 ottobre 2011. Arriva in Italia quasi sconosciuto nel 2005 con il disco I’m a bird now. Poi i successi nel 2006 con il progetto cinematografico Turning e le conferme del pubblico tre anni più tardi quando presentò The Crying light. Oggi torna Antony Hegarty con la sua voce immaginifica, quasi spettrale e con una rinnovata idea musicale, più colorata e fresca.


Sperimentale, barocco nel suo modo di porsi, di manifestarsi in pubblico. Antony conferma quanto lo stesso Lou Reed disse di lui e lo fa in grande stile nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium, ormai sua seconda casa. Questa volta accompagnato dall’Orchestra Fondazione Petruzzelli e dal compositore e arrangiatore newyorchese Rob Moose. Le luci WM_DAN_0289 sono affidate a Chris Levine, genio dell’olografia e principale esponente delle forme d’arte basate sui laser.
Mentre Levine cattura la luce per diffonderla secondo un processo creativo quasi spirituale, Antony dona forza alle note dell’orchestra. Lo scambio è univoco, c’è respiro e presenza scenica. Il risultato agli occhi e alle orecchie è pacatezza, riserbo e sfolgorante bellezza interiore. Momenti surreali magia dell’istante scenico.
Antony raccoglie le richieste di un mondo stanco, ucciso dalla pressione dell’uomo e “Swanlight” la sua ultima creazione musicale, è il manifesto di tale aberrazione. Una chiamata diretta e univoca al cambiamento: contro le amenità del mondo la sfida transessuale. Percepire la luce quale vero alfiere di un firmamento neoromantico di cui oggi è affermato esponente, Antony Hegarty travalica il fenomeno underground per divenire, agli occhi di tutti, un modello di quel songwriting malinconico, sensibile e universale.

Sala Santa Cecilia piena, in attesa. Sguardo al palco e alla scenografia alma e ripetitiva nelle due note che riecheggiano incessanti mentre si aspetta che l’artista cominci lo spettacolo. La rivoluzione del pop, quello romantico veste di bianco e colora l’abito con un grande foulard. Con la firma di Boy George ben cucita sul petto lo spettacolo inizia mentre Antony si muove verso quella luce viola fonte di vita e di rinascita. Dalla Drag Queen calva ispirata agli anni ottanta di tempo ne è passato e oggi sfocia in quell’avanguardia sensoriale che scuote tutta la platea. Dal grande successo “I’m a bird now” fino a “The crying light”, fino a scatenare il “fantasma violaceo” di cui parla nel suo ultimo lavoro; ed è una vera e propria epifania di generi, nel sottobosco ramificato di un concerto che riproduce il medesimo caleidoscopio di immagini rappresentate in Swanglight, ma che rispetta la linea classica dell’orchestra che lo accompagna.
Fragilità e grazia sono al cospetto del pubblico, questa volta con un tocco di romanticismo e positività in più.

Federico Ugolini
Foto di Daniele Rotondo

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