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Addio Burma: la Birmania della Gaetani

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[FOTOGRAFIA]
TKimg4b98ea9a01a9dROMA- Scordatevi John Rambo. Quella di Maria Luisa Gaetani d’Aragona non è la Birmania dei soprusi militari e delle corse spensierate sui campi minati. Di quello, per quanto se ne sappia sempre troppo poco, se ne parlerà in un’altra occasione.

Addio Burma, mostra fotografica dedicata al Myanmar, è un lavoro che contrappone l’umanità di tutti i giorni alle disumanità di un governo repressivo. Nei suoi lavori, esposti presso il Chiostro del Bramante a partire dallo scorso 30 maggio, non c’è nemmeno una divisa. A essere protagonisti sono le persone comuni, riprese in gesti quotidiani, come il lavarsi o il prepararsi a una festa.
La Gaetani ama focalizzarsi sui particolari più abituali e ripetitivi, come la sequenza di movimenti che scandisce il Addio_Burmaremo di una barca, o come due mani callose e segnate dagli anni che lavorano la creta. Il tutto in un rigoroso bianco e nero fortemente contrastato. E se non sempre la mano del fotografo si dimostra performante, a compensare c’è la grandiosità minimalista dei soggetti ritratti.
Tra stupas, templi buddhisti dal caratteristico tetto a cono, e architettura locale, chi è realmente protagonista sono gli anziani, le donne e i bambini. Personalità segnate dalla vita che hanno fatto, con rughe che tradiscono in eccesso quella che è la loro vera età, o con anelli che ne riplasmano il naturale aspetto fisico, come per le Kayan (note anche con il nome di Donne Giraffa, chiamate così a causa dei cerchi che indossano sul collo sin dalla giovane età), ma anche figure semplicemente timide di fronte alla macchina fotografica, o al contrario esibizioniste e spensierate.

Specchi di un mondo distante anni luce dalla nostrà realtà, ma così pregno di un aspetto umano che pensavamo non avere più da tempo. In un posto in cui la guerra non ha fatto altro che produrre un’economia basata sul traffico di eroina, dove il buddhismo è una religione concessa dal governo solo in forma di contentino, dove il progresso sembrerebbe non aver superato i fasti della prima rivoluzione industriale, è un piacere vedere come nonostante tutto la vita riesca comunque a trionfare nel sorriso di un bambino o nella goliardia di un gruppo di anziani mentre si concedono un sigaro.
In questo forse il bianco e nero non rende il giusto impatto. Il forte contrasto cerca invano di dare tridimensionalità all’immagine, ma fallisce proprio in assenza del colore. Le paludi birmane appaiono quindi troppo pulite per essere completamente fedeli alla realtà, così come le palafitte che si ergono al di sopra dei fiumi. Invece, è proprio nell’ottica della caducità umana che il contrasto porta dei reali benefici. Quando mani rugose si fondono nella creta su cui lavorano, o donne anziane mostrano i segni del loro tempo, o ancora persone che in gruppo si rifugiano nel consumo d’oppio, è lì che le ombre del bianco e nero danno il loro meglio.
Oltre 100 opere convertite in stampa lambda e montate a vivo. A volte viene quasi da toccarle, per cercare di accarezzare quei volti. Non per pena, nè per pietà. Ma per semplice affetto, per semplice bisogno di condivisione. In una parola: empatia.

Giampiero Amodeo

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