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La Locandiera

teatralmente
[TEATRALMENTE]

teatralmenteROMA – Se le donne riuscissero a rimanere nei propri panni di esponenti del “gentil sesso”, usando insieme all’arma squisitamente femminile della seduzione, la bonaria furbizia e intelligenza di Mirandolina, sarebbe più facile mettere un freno all’imperare prepotente nel mondo della presunta superiorità maschile.


Sembra essere questo il messaggio – sempre se si è d’accordo nell’individuarne uno – proposto dalla versione de La Locandiera diretta da Jurij Ferrini e in scena in questi giorni (per la precisione fino al 17 Aprile) al Teatro Vittoria.
Rappresentata un numero quasi incalcolabile di volte in varie salse, la vicenda di Mirandolina e dei suoi corteggiatori è stata in questa occasione tradotta in abiti e usanze moderni, all’insegna di una volontà e di un’urgenza di rappresentazione che seguisse un carattere di essenzialità a tutti i livelli. Intenzione primaria del regista è stato infatti spogliare l’insieme del prodotto artistico di ogni orpello ritenuto non necessario allo svolgersi della narrazione e dell’azione, e puntare sull’impareggiabile forza del comico goldoniano.
E’ così che nel rispetto dell’architettura originaria dell’opera, la messa in scena, nell’aspetto scenografico, viene spogliata da decorazioni e ornamenti di vario genere per lasciare spazio a una scena vuota, quasi desolante, in cui gli attori sembrano essere lì seduti sulle loro sedie per caso, circondati da indumenti appesi e da valigie che giacciono abbandonate sul palcoscenico, un po’ qui un po’ lì, quasi a evocare la transitorietà del luogo in cui si svolge l’azione. Anche la lingua, in perfetta armonia dunque con un simile contesto, subisce tale sfrondamento e risulta asciugata da ogni ridondanza, vezzo o manierismo del linguaggio goldoniano e appannaggio dello stile 71dell’epoca: quello che viene restituito allo spettatore è un’azione drammaturgica che si serve di un lessico conciso, tutt’altro che scarno, che si concentra sulla potenza del testo, accentuandone il potenziale esilarante e mantenendo l’espressività e il mordente di quella “lingua particolare, ricca, calda, vitale, piena di sapore e spesso estremamente elegante” – come ha spiegato lo stesso regista – che Goldoni ha lasciato come intramontabile eredità per la nostra cultura e che, sempre citando le parole di Ferrini, è in questo caso il mezzo con cui si tenta di prendere le distanze dall’italiano disinvolto e annacquato che la televisione ci propina sempre più di frequente.

Complice un cast di interpreti preparati come Ilenia Maccarrone, Angelo Tronca, Andrea Cappadona, Matteo Alì, Claudia Salvatore, Wilma Sciutto, Massimo Boncompagni, le imprese dell’astuta e seducente locandiera Mirandolina vengono narrate con una verve notevole e con improvvise virate ritmiche, altalene melodiche e movimenti rapidi dall’azione. La spensieratezza apparente tipica dei giochi amorosi – motore di tutto l’intreccio – si confronta con l’eterna e serissima questione del rapporto uomo-donna riguardo colpito di continuo dal personaggio di Mirandolina che, come una mina vagante, scardina certezze e luoghi comuni nascondendo in sé una spinta e un significato assolutamente rivoluzionari. Anche in quest’ultima versione, la locandiera è una donna dall’intelligenza brillante che non solo sa badare e basta a se stessa ma che sa anche farsi rispettare in un mondo di uomini usando le armi della seduzione con una raffinatissima e sensibile sagacia pratica.
Come forse si evince dalla presente recensione, La Locandiera di Ferrini è senz’altro uno spettacolo che vale la pena andare vedere e che, anche se può far storcere il naso ai tradizionalisti per la sua rilettura innovativa dell’opera, di questi tempi merita senz’altro un’attenzione particolare per ricordare che da tempo – e da sempre – la debolezza è tutt’altro che donna.

Alice Salvagni

Alice Salvagni, Jurij Ferrini, La Locandiera, martelive, martemagazine, teatro

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