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Andersen 2011

fabio_sartor
[TEATRO]

fabio_sartorROMA- I classici della letteratura sono classici proprio perché attuali. Possono essere contestualizzati in qualsivoglia epoca riadattandoli a ogni evento della storia umana. Classiche sono le favole, classiche sono le fiabe.

Classiche sono le fiabe di Hans Christian Andersen e l’adattamento scelto per Andersen 2011 fiabe che non sono favole in scena al Teatro Vascello fino al 3 aprile è tutt’altro che banale. Perchè dire fiaba o dire favola non è la stessa cosa.
Appare in scena il bravissimo Fabio Sartor che come uno stanco scrittore qualunque, getta nel fondo del palcoscenico una scatola con delle fiabe. Fondo che sembra quasi un camino a bocca larga. Un odore di legno bruciato fa temere la perdita di un patrimonio letterario immenso, ma i personaggi come fenici risorgono da assenti ceneri e invadono la mente del protagonista e degli spettatori. Pubblico che torna bambino e osserva le fiabe raccontare qualcosa. Qualcosa di attuale, qualcosa di profondo che resta nella mente per sussurrare lentamente parole di verità. E le voci si sentono, delicate, quasi un sussurro: sono le voci de L’ombra, Il burattinaio, La piccola fiammiferaia, Il brutto anatroccolo, Il soldatino di stagno, La Sirenetta, Le scarpette rosse e I vestiti nuovi dell’imperatore.
Così il soldatino di stagno è un militare in Afghanistan che viene da Stagno (prov. di Livorno, n.d.r.), un africano è la nuova Sirenetta che sogna un mondo migliore.
Mettere in scena delle fiabe significa anche correre il rischio di trasformare uno spettacolo in unaemanuela_ponzano_IMG_8844erid sterile narrazione di fiabe, ma la regista Emanuela Ponzano rende perfetti i suoi attori, adattando la fisicità degli interpreti a quella dei personaggi delle fiabe, trasformando lo spettacolo dal piano narrativo a quello del sogno.
Le fiabe, le favole, non sono e non devono essere esclusiva proprietà dei bambini relegando le opere in una specie di sottogenere. Sono patrimonio di tutti, bambini, adulti, anziani. Forse più questi ultimi devono rammentare di essere stati piccoli e sognatori.

Emanuele Truffa Giachet

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