Sguardi s-Velati II
Progetto O-felia
Due donne: una intenta a guardare la tv e l’altra avvolta in un abito bianco velato, forse una sposa, seduta e intenta a pensare, tormentata. Ecco il prologo di Progetto O-felia messo in scena dalla Compagnia Teatrale Imprevisti e Probabilità, con testi tratti da William Shakespeare e Soledad Agresti per la regia di Raffaele Furno. Spettacolo teatrale che fa parte della rassegna Sguardi S-velati (fino al 27 febbraio 2011) a cura di Ambra Postiglione e Annalisa Siciliano, al Teatro Due di Roma.
Il testo dell’Amleto di Shakespeare viene ibridato di visioni letterarie, quelle della scrittrice Soledad Agresti, per diventare un grido femminile, un’invettiva all’amore non dato, ferito, sofferto. È Ofelia a parlare perché ha concesso il suo cuore a chi non l’ha amata. Si è fidata di un uomo sbagliato, sbagliando. Protesa ad accogliere, ingenua, i corteggiamenti “beffardi” del principe Amleto. La speranza di un bacio è solo intrappolata in uno schermo televisivo che sentenzia la finzione dell’amore. E quel velo bianco indossato dalla donna racconta una promessa non mantenuta, una mano chiesta, una sposa pronta e tristemente seduta sul trono del disinganno. Regina solo del suo dolore. Livida, avvizzita, arida.
E due clown di certo non possono volgere in commedia una tragedia. Sebbene i due, prima con piccole apparizioni silenziose e poi con un dialogo sul destino di morte di ogni essere umano, tentino di distogliere lo spettatore dal dramma che si consuma. Sono due clown becchini di ispirazione shakespeariana, voce di una saggezza popolare che si interroga sulle pene d’amore della giovane donna. Scavano tra la sabbia la tomba dell’amore prima ancora che del corpo di Ofelia.
Un’opera Progetto O-felia che scandaglia con occhi di donna l’amore, sul filo di un’ironia grottesca. Lo scompone e lo offre al pubblico nel punto più alto della disillusione. Ofelia appare sgualcita, coi piedi nella fossa, morente. Sebbene a portarla via sia stata l’imprudenza di arrampicarsi su un ramo di un albero a cogliere fiori.
E nel dramma della morte dell’amore, della morte di una donna simbolo dell’innamoramento che annega tra steli e fiori nelle acque fangose (fine che conosciamo da Shakespeare ma non vediamo), a chi vede o vedrà Progetto O-felia non resta altro che la speranza che si tratti di un caso isolato. Perché tolto l’amore resterebbe solo il ghigno disegnato sulle facce dei due clown: presagio della tragedia. E di questi tempi l’immagine femminile è già troppo usa e getta per non offrire la speranza che possa essere amata davvero!
Elsa Piccione
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