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Chihiro Yamanaka Trio

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[MUSICA]

chihiroROMA- Si sa i giapponesi hanno da sempre un amore per la cultura italiana e in particolare per la musica jazz nostrana. Nel Sol Levante molti jazz man italiani vengono bonariamente accolti da etichette discografiche e prodotti con facilità ed entusiasmo, con cd pensati solo ed esclusivamente per il mercato giapponese e il più delle volte commissionati proprio dagli stessi produttori.

I vari Danilo Rea, Roberto Gatto, Rosario Giuliani e Stefano Bollani, solo per citarne alcuni, sono straconosciuti, ammirati e osannati dal popolo più esterofilo del mondo, gli abitanti dagli occhi a mandorla. Passando in rassegna i cartelloni dei vari live club, tra tutti il Blue Note di Tokyo, non è difficile trovare in cartellone Nicola Conte, Giovanni Mirabassi, Stefano di Battista e altri tanti nomi anche un po’ più di nicchia.
Ultimamente dal fronte giapponese invece qualcosa si sta muovendo, vedasi il successo delle pianiste Hiromi Uehara e Chihiro Yamanaka, quest’ultima vista lo scorso 13 Febbraio all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
E’ molto singolare il fatto che leggendo le loro biografie si notino così tanti punti di contatto. InizianoMauroGargano tutte e due lo studio del pianoforte da giovanissime all’età di quattro anni, si trasferiscono in Europa per approfondire il pianoforte classico e naturalmente ultimano il loro percorso al Berklee College of Music stabilendo la loro fissa dimora nell’attivissimo ambiente musicale di New York. Questo percorso ci fa capire come nella visione di un concerto come quello del Chihiro Yamanaka feat Paris Trio “Forever begins” ci sia molto poco di cultura giapponese e orientale e tanto occidente. Tanti prestiti illustri che vanno da Art Tatum, a Oscar Peterson, a Count Basie e molta poca peculiarità nipponica.
La Yamanaka, che in America suona stabilmente in trio con il batterista Kendrick Scott, già batterista di Hancock, e Vincent Archer al contrabbasso, era accompagnata qui in Italia dal Paris Trio, che di parigino in realtà ha solo il domicilio e l’aeroporto di partenza. Infatti al contrabbasso abbiamo incontrato il barese Mauro Gargano, da molti anni residente e operante a Parigi, e il batterista francese ma di origini italiane Remì Vignolò.

Il concerto viene aperto dal pezzo “Living Without Friday” della piccola  e minuta pianista giapponese che a dispetto della sua figura esteriore sfodera subito grinta e forza. L’inizio ci fa subito ammirare le capacità tecniche della Yamanaka, una composizione velocissima e complicata in cui la pianista dà sfoggio subito del suo virtuosismo, quasi come se volesse sorprendere il pubblico in sala che a vederla non si sarebbe mai immaginato tanta energia e tanta tecnica.
La serata prosegue con l’arrangiamento di un classico di Dave Brubeck, il famosissimo “Take Five”, annunciato dalla voce sorprendentemente flebile e timida della pianista, e da un classico della bossanova, il bellissimo pezzo di Jobim “The Girl From Ipanema”  completamente riarrangiato. La formula è sempre la stessa, velocità, virtuosismo tecnico, arrangiamento volto quasi a stravolgere il Rem_Vignolpezzo (come se ce ne fosse bisogno per questi pezzi di cotanta bellezza e di intensità struggente), non c’è tempo neanche per un respiro, si viene travolti da questa smania di esagerazione, che anche la sua ritmica pur solida e consolidata fa fatica a seguire. Un virtuosismo debilitante anche per i suoi accompagnatori.
Il pubblico così bombardato da note, si aspetta che almeno nella successiva “Good Morning Heartache” resa famosa dalla splendida voce di Billie Holiday, si possa tirare un po’ il fiato, ma viene deluso anche questa volta. Quella piacevole sorpresa energetica che avevamo ricevuto all’inizio, sembra esser diventata la regola. I suoi pezzi “Taxi” e “Carillon” scritti rispettivamente in America e a Parigi, non apportano altro genere di emozioni. Così come i due bis. Onore ai suoi accompagnatori che hanno saputo reggere il colpo, sia fisico che ritmico, imposto dalla pianista, ma in fin dei conti è risultato un concerto privo di emozioni e sfumature. Niente da dire sulla tecnica e la grinta della Yamanaka, ma, a mio personalissimo giudizio, avrei voluto vedere più anima e meno mani. Forse i giapponesi devono ancora imparare da quegli italiani che stimano tanto in patria!

Valeria Loprieno

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