Lilliput 2010, amare cartoline da Barcellona
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]
Si ritorna in ufficio, ci si spegne sotto le luci al neon dei vagoni della metropolitana, si aspettano gli autobus tempi infiniti oppure siamo incastrati in un traffico che costringe mani e pensieri. Insomma, le feste sono finite e tutto ritorna alla cosiddetta normalità.
C’è qualche chilo in più, centinaia di propositi, mentre la bocca conserva ancora il sapore del torrone e un po’ di nostalgia nel ricordare una serata tranquilla tra amici trascorsa nello scambiarsi regali e chiacchierare dell’ultimo viaggio.
Io ho raccontato di Barcellona, era novembre. Il tempo era splendido, parlare di sole, mentre Roma è presa dalla morsa di un freddo anomalo, riscalda i pensieri. Spesso mi ritrovo a controllare la temperatura della Ciutat Vella e la differenza rispetto a Roma è sempre di circa 4°, parlare di Barcellona aiuta a recuperare quei quattro gradi e a far affluire nuovamente il sangue alle mani.
Assieme a me in quei giorni c’era il Papa che sperava in una buona accoglienza in una città estremamente laica e c’era un festival piccolo piccolo, Lilliput. Un festival dedicato all’ “arte piccola” giunto alla sua seconda edizione. La città era occupata negli spazi meno idonei, ma ottimali per la miglior visione di “fenomeni” artistici. Installazioni, performances, proiezioni di artisti che si sono mossi in modo poco convenzionale occupando il centro storico di Barcellona per l’intero novembre scorso.
Circondata dal buonismo natalizio, ho ricordato una delle forme di arte che più mi colpì in questi spazi d’arte improvvisati a Barcellona. Durante una passeggiata notturna nel Barrio Gótico, in un piccolissimo cunicolo, incastrato e chiuso in una vetrina c’era un ragazzo in pigiama, era accovacciato in un’area di un 190x90cm al massimo e leggeva il suo libro. Le pareti che lo circondavano erano tutte scritte e lui era un manichino vivente. Ma quella non era una vetrina, non era una trovata pubblicitaria, era una perfomance del festival Lilliput (http://festivallilliput.wordpress.com).
Il titolo era Cama – 24 – horas (letto – 24 – ore) di Annette Merrild, l’artista spiegava in una presentazione al fianco della vetrina-gabbia come funzionava la performance, invitando alla partecipazione stessa all’opera che si stava visionando. La Merrild, nata in Danimarca nel 1972, nella città di Henring, dopo un lungo periodo di lavoro ad Amburgo si trasferì nel 2005 al sole di Barcellona. L’artista danese scoprì in quegli anni “el lado oscuro de la ciudad”.
Durante la sua ricerca di un laboratorio in cui produrre arte, la Merrild si imbattè in una realtà assurda, che ricorda racconti risalenti ai primi del ‘900, e che spesso ignoriamo accadere anche nelle nostre folgoranti città occidentali del ventunesimo secolo.
I letti caldi, camas calientes; letti divisi tra quaranta persone. In queste abitazioni, se così le possiamo definire, ci sono dei letti che sono sempre caldi. Si possono “affittare” al massimo per otto ore, al termine delle quali devono essere lasciare a chi si addormenterà nel calore lasciato da un altro corpo.
La Merrild incontrò la povertà vera, quella vicina, non quella sbattuta dai telegiornali, che riusciamo a mantenere a distanza, una miseria che non ti aspetti e che, in realtà, non è neanche ben nascosta. A Barcellona non c’è la stazione Termini, che diventa un dormitorio già al primo imbrunire; la miseria di quella crisi economica che l’artista vide dichiarata in queste otto ore di sonno comprate e divise tra sconosciuti, qui a Roma, forse è più palese nelle file alla Caritas di gente che indossa anche la cravatta e che non nasconde neanche più l’imbarazzo perché, ormai, anche quello è sparito davanti ad un’abitudine che era inverosimile fino a qualche anno addietro.
La crisi, negata, usata come scusa, come paravento o spauracchio è stata per la Merrild il momento in cui dover far conto con una realtà che non poteva rappresentare in un modo convenzionale, messa da parte la sua ricerca figurativa, che ricorda molto quella del “nostro” Schifano, l’opera presentata al Festival Lilliput invitava alla partecipazione. In quell’ “opera”, in quei pochi metri ci poteva entrare chiunque, dal 15 ottobre al 15 novembre, ci si poteva alternare per far parte di un’opera, o meglio dire di una denuncia.
Mentre il ragazzo leggeva il suo libro e aspettava di addormentarsi sotto la luce abbagliante, mi chiedevo chi sarebbe stato il prossimo in quella vetrina.
Forse perché stavolta io ero abbagliata dalle luci natalizie, forse perché l’arte serve a farti anche del male, sta di fatto che, nel raccontare di questa esperienza artistica del mio ultimo viaggio, mi sono ritrovata a pensare a chi durante il mio racconto si sarebbe alzato da un letto per cedere il suo calore.
www.annettemerrild.com
Rossana Calbi
Annette Merrild, arti visive, Barcellona, Cama – 24 – horas, martelive, martemagazine, rubrica Graffi(a)ti ad arte, Shiba