GEZZ, Generazione Jazz
Maria Pia De Vito: electronic jazz sound
Cantante, compositrice ed arrangiatrice, con un passato di canto lirico e contemporaneo alle spalle, Maria Pia De Vito inizia la sua attività concertistica nel 1976 come cantante e strumentista (plettri, percussioni, piano) in gruppi di ricerca su musica etnica, in particolare mediterranea e balcanica.
Dall’80 è attiva in campo jazzistico, collaborando con artisti quali Kenny Wheeler, John Taylor, Ralph Towner, Joe Zawinul, Michael Brecker, Dave Liebman, Miroslav Vitous, Joshua Redman, Cameron Brown, Billy Hart, Elliot Ziegmund, Gary Bartz, Steve Turre, Enrico Rava, Paolo Fresu, Gianluigi Trovesi, Giorgio Gaslini, Bruno Tommaso, Rita Marcotulli, Furio Di Castri e molti altri.
Ciò che più colpisce in lei, è l’incredibile sensazione di completezza oltre i limiti imposti dalla tendenza di mercato, con cui la De Vito interpreta e analizza l’universo musicale e sonoro nelle sue infinite possibilità. Dietro ad una voce profondamente melodica, ma liberata da ogni cliché stilistico, evoluta fino all’inverosimile studio delle sonorità più disparate, c’è un lungo lavoro di paziente affinamento e di progettualità latenti e future in cui sembra evolvere la direzione del jazz visto alla De Vito maniera. Un jazz unico e moderno, rivisto e elettronicamente e “sporcato” dai suoni.
Questo il jazz che è stato presentato all’Auditorium Parco della Musica lo scorso 20 novembre nell’abito della rassegna GEZZ- Generazione Jazz con il progetto Mind the Gap.
Il gap nominato è quello spazio, quella frattura, quella sospensione tra due momenti, l’esitazione tra un pensiero e l’altro, tra due emozioni, tra due strade che si aprono, ma che nello stesso tempo si intrecciano in modo tenace. E sono spazi aperti, nodi allentati quelli che si avvertono nei brani presentati, già dalla title track che è anche l’apripista della serata. E da questa, tutta una collezione di brani che parlano di quello iato che c’è tra le cose che facciamo e come ce le raccontiamo. Di quel vuoto che percepiamo quando non sappiamo cosa fare, l’incertezza intima di fronte alle decisioni. Da questo punto di vista si interpreta in un modo ancora infinitamente diverso “If six was nine” del compianto Jimi Hendrix. Vanno chiuse porte, altre vanno aperte (“Opening doors”) , separarsi dalle consuetudini collose del nostro gestire quotidiano, quasi in autoipnosi.
Dice la stessa Maria Pia: “Vivendo il gap, osservandolo dall’interno, in quello spazio si genera la tensione creativa. Come disse, tra gli altri, il profetico Mc Luhan, dicendo che nella società televisiva l’individuo rimane molto più affascinato dalla propria immagine riprodotta che dal suo proprio essere, in una nuova forma di Narcisismo. “Zoobab De Ouab” è un tale che si innamora a tal punto del suo io “fittizio”, prodotto ad arte, da volersi vedere in tutte le pubblicità, quotidiani, riviste, televisione”.
Questo il male di vivere della società che si costringe a vivere relazioni che non riconosce, sulla cui natura si equivoca (“Song to the siren” di Tim Buckley).
Un percorso storico, sociale, personale sul quale interrogarsi. Il jazz è sperimentazione, ma è anche espressione profonda, evoluzione del sé, in uno spazio in cui si genera una tensione creativa importante e fondante. E così, brano dopo brano la cantante napoletana esplora tutti i significati da lei attribuiti al “Gap”, accompagnata da un fantastico Francesco Bearzatti al sassofono, da Luca Equino alla tromba, Claudio Filippini al pianoforte, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Walter Paoli alla batteria.
Tutto in una serata un po’ jazz o forse un po’ GEZZ, come si scrive oggi l’evoluzione della musica dell’anima.
Edyth Cristofaro
Foto di Marco Casino
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