Roma incontra il Mondo: Devendra Banhart, Margherita Hack & Ginevra di Marco, Nobraino
Un riflessivo viaggio tra scienza e musica
Ci sono eventi che mostrano la loro unicità durante il percorso, alcuni già dal nome. E’ il 2 luglio, a Villa Ada Margherita Hack incontra la gente accompagnata da un gruppo di musicisti fiorentini guidati dalla soave e intensa voce di Ginevra di Marco.
L’atmosfera di quiete e pace accompagna il cammino verso il palco. Un palco semplice e spoglio, con pochi strumenti, un orologio in cima ad una torre e una poltrona in legno tra due alberi spogli per mostrare il disegno dei propri rami, a mostrare lo scheletro della propria esistenza. Nella semplicità la verità.
Seduti, assaporando la freschezza, le luci soffuse e il piccolo lago di Villa Ada parte l’avventura con “In viaggio”, canzone dei CSI, eseguita con un pianoforte essenziale e la leggera voce di Ginevra di Marco, che traghetta “i viandanti” in questo particolare itinerario.
Dopo l’esecuzione di “Amara terra mia”, di Modugno, un vortice di malinconia a ritmo di valzer. “Addio, addio, io vado via amata terra mia”, la musica si ferma e le luci, che illuminano la poltrona, si accendono. Il palco spento, una luce ed una voce: Margherita Hack inizia a parlare, e lo fa parlando dell’emigrazione, di un passato di italiani emigranti, maltrattati e disprezzati, derisi ed emarginati, dei loro figli diventati celebri in terra straniera (N.d.R. Rocco Petrone, origini lucane, terzo direttore della NASA, Nancy Pelosi prima donna portavoce della Casa Bianca) e di come oggi tutto si sia capovolto, di come ”il mediterraneo è diventato una grande tomba” di immigrati che cercato di raggiungere “l’America” che per loro è l’Italia, dove “i centri di accoglienza sono come dei lager”.
Gli applausi sembrano non finire a sottolineare come la perdita della memoria storica stia portando il nostro paese verso il razzismo più spietato e duro. Un passato dimenticato e un presente da molti odiato.
La musica riparte più forte di prima e con ritmi folk e a tempo di marcia, la gente e la stessa Margherita Huck tengono il tempo ascoltando canzoni che parlano di povertà, di debiti e di sofferenza.
Si parlerà dei contadini che lasciano la terra per lavorare in città, per diventare operai con grandi sacrifici, per essere gli operai di Pomigliano. Si parlerà del progresso, della “cultura che è alla base dell’innovazione”, dell’importanza della “ricerca pura per la curiosità”, quella ricerca così ripudiata dall’Italia, “si fa tanto per formare i ricercatori in Italia e poi non gli si permette di dare il loro contributo costringendoli ad andare fuori dal loro paese”.
Il silenzio e poi “Fel sciara can bent masci” di Silvestro Torrisi, una canzone dalle sonorità e atmosfere orientali, una canzone in Esperanto, la lingua che avrebbe voluto unire tutto il mediterraneo, un mediterraneo mai come oggi diviso e portatore di chiusura, di diversità che non comunicano ma si combattono gli uni con gli altri in una situazione in cui “ i piccoli paesi si azzuffano tra loro mentre i grandi stanno a guardare, perchè hanno paura di una guerra nucleare”.
Ma poi arriva la musica che ha la potenza di tradurre i messaggi con energia e trasporto, di far uscire la rabbia emozionando, ed è la volta di “Malarazza” di Modugno in cui sarà difficile non immaginare Margherità Hack come capo dei ribelli che in piedi, a fatica, brandisce al vento e cantando a squarcia gola “Ti lamenti.. ma che ti lamenti?/Pigghia lu bastuni e tira fora li denti “.
La ribellione dal “padrone dell’azienda Italia” e la situazione Italiana vengono descritte lucidamente, un Italia dove bisogna rubare per essere al comando, un’Italia in cui è diventato inevitabile prendere il bastone e combattere per il cambiamento.
“Le figliole”, “la malcontena”, la difficoltà di essere donna oggi e le vittorie della parità (N.d.R. Samanthe Cristoforetti prima donna italiana a far parte della squadra spaziale europea) prima dell’imminente fine.
E’ la volta di “Montesole”, poetica e riflessiva composizione dei PGR, “canto la morte che muore…canto la vita che piange”. Le note degli strumenti, magistralmente e nell’essenzialità, ricamano e avvolgono la voce di Ginevra di Marco che diventa aria, luce, acqua e sembra fondersi con il respiro e i battiti dei presenti. Ad occhi chiusi “l’amore non cantarlo che si invoca da sè”. Il viaggio termina con una canzone dedicata all’ispirata e “lucidamente mai demoralizzata” e pronta alla lotta per la giustizia, Margherita Hack, “Come bambino”.
La scienza incontra la musica, il pensiero incontra la poesia. Due donne, due linguaggi diversi per lo stesso messaggio. Un incontro per descrivere la realtà, i sentimenti, le paure e le speranze. Un evento unico per un momento di difficoltà, un momento per riflettere, sentirsi uniti e lottare, un momento per ricominciare a reagire, a vivere da protagonisti per non morire.
“Evitare i fondamentalismi sia degli aetei che dei credenti: sono idee personali, ognuno deve credere come si sente, senza bandire un crocifisso come una spada”.
Paola Zuccalà
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