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Roma incontra il Mondo: Devendra Banhart, Margherita Hack & Ginevra di Marco, Nobraino

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Di speciale c’è il teatro

nobraino1-772121Era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo scritto per davvero, intendo con carta e penna. La contemporaneità ci obbliga al digitale, ma forse è anche la realtà che non ci da abbastanza stimoli per poter affrontare una delle cose più difficili ma anche più piacevoli che l’essere umano abbia mai concepito: la scrittura.
Il ritorno al passato mi è stato regalato da un concerto, che si è tenuto lunedì 5 luglio 2010 presso il laghetto di Villa Ada. Ad esibirsi, per una triste e spiacevole coincidenza, sono stati i Nobraino, band romagnola tra le più apprezzate del panorama cantautoriale italiano.
Lo spettacolo non era dei più semplici: subentrare al posto di Niccolò Fabi colpito da una dolorosa vicenda familiare. Alle 22.53 il generale Lorenzo Ciavatta in arte “Kruger” occupa il palco con la classica livrea delle ricorrenze importanti: gilet nero adagiato su camicia bianca con calzoncini corti. Dopo un rispettoso e amichevole saluto al cantautore romano, la chitarra di Nestor Fabbri invade con stile il pubblico, dipinto dalla voce di “Grand Hotel”, prima traccia contenuta nel piccolo capolavoro No Usa! No UK!.

La magica bellezza di questa band è racchiusa nella loro inconsapevolezza. Il gioco dell’arte è una fatale miscela di semplicità, eternità, eccessi e casualità. Ebbene i ragazzi romagnoli sintetizzano a ragion veduta tutti questi attributi. Il pavimento sonoro viene calpestato da un linguaggio voluttuoso e teatrale capace di trasmettere felicità ad un pubblico che si sente sempre più solo, smarrito, nei viali della musica plastificata. In molte occasioni il frontman scende tra la gente, porgendo con infantile creatività le favole racchiuse nelle lacrime dei brani.
Non vengo più ad ascoltare i Nobraino, li ho scoperti anni fa a Pesaro…li erano molto famosi, e devo dire che non mi dispiacevano affatto. Ma adesso suonano troppo spesso e ai loro concerti ci sono troppe persone!” Così una mia amica, il giorno dopo il concerto, rispose alla domanda sul perché non fosse venuta al concerto di Villa Ada. Devo dire che non aveva tutti i torti e, forse, aveva ragione. Ma il tutto mi riempiva di gioia perché questi ragazzi meritano il maggior numero possibile di esibizioni e perché no, anche una notevole massificazione (in senso positivo) del loro prodotto artistico.

Ululati da scalatori di alberi, bagni di folla cantati sulle sedie, salti da giocatore di pallacanestro, lampade impiegate come Bolas, occhiali da sole usati come bende protettive dai riflettori, la tromba di Barbatosta usata come romantica congiunzione con la gioventù: questo è accaduto. Lo smarrimento ha dipinto i sensi, che più volte hanno chiesto dove si trovassero. Il tutto è stato disegnato da un scaletta ripresa per la maggior parte dal nuovo album: “Narcisisti misti”, “La giacca di Ernesto”, “Titti di più”, “Succhiami il cuore”, “La signora guarda il Mar”. Ma un ruolo rilevante lo hanno avuto anche le vecchie composizioni (“Le tre Sorelle”, “Bifolco”, “Piena gioventù”, “I Signori della Corte” in primis) e le cover quali: “Via con me” di Paolo Conte, “La ballata dell’amore cieco” di De Andrè e la reinterpretazione de “L’italiano” di Toto Cutugno.
In tutto quasi 2 ore di varietà genuino e folle, condito dalla proteina della crescita nota con il nome di Giorgio Canali, non presente fisicamente, ma gocciolante nell’atmosfera bagnata del laghetto di Villa Ada. Un ensemble da considerare parte di quel famoso “Paese Reale” di agnelliana memoria, sempre in grado di stupire e di far pensare, anche quando decanta l’amore.

Saverio Caruso

 

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