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Una novita’: Denise Cecchini

[ARTI VISIVE]

ROMA- Denise Cecchini è certamente un nome sconosciuto per chi frequenta il mondo dell’arte, ma lei qui vi ha messo già un piede se non due.  Denise infatti, che ha solo 17 anni, ha già inaugurato una personale allo Spazio Officina 468 di Roma.

L’esposizione conta 24 opere pittoriche, tutte prodotte in un periodo molto particolare per la vita dell’artista: dopo essersi infatti iscritta al liceo artistico “Giorgio de Chirico” a Roma, Denise dovette interrompere gli studi nel 2009 a causa di un ricovero di sei mesi al Bambin Gesù. Ed è proprio quest’evento che determina il significato dei due fili conduttori che attraversano le sue opere: da una parte infatti tutta la produzione risale a quei giorni, dall’altra è la causa di quella degenza che inserisce la mostra in una cornice di significato più ampia proponendola come strumento in favore di una causa sociale. L’esibizione infatti vuole essere una mostra-denuncia contro le smurt-drugs, ovvero droghe chimiche, geneticamente modificate.
Con questi presupposti ci si aspetterebbe immagini con un contenuto teorico fortemente strutturato, che parlano chiaro della droga, dei suoi effetti e dei suoi rischi. Il messaggio invece si eleva su un piano più  raffinato dimostrando come l’arte può essere forte anche solo facendo intuire il proprio proposito sociale senza dichiararlo apertamente. E infatti l’occhio rimane sorpreso quando entrando nella galleria si trova immerso in un ambiente personale, avvolto da colori caldi che disegnano volti umani o figure misticheggianti dai titoli lineari che sembrano voler raccontare il più possibile: Papà, in cui è rappresentato il padre di Denise anche lui artista, Indigeno, in cui è rappresentato il volto di quello che sembra un indiano d’America, Sole, l’immagine di un sole apparentemente ispirato a simboli presenti nella cultura orientale sono solo alcune di queste.

L’idea che passa infatti è quella di una ritrovata intimità quasi a suggerire che l’allontanamento da un imperativo sociale (perchè la droga a volte è anche questo) riesce a far riavvicinare ai propri gusti e al proprio universo di significati. Interessante poi è che a parlare dell’uso acritico della  droga come la possibilità di una perdita di presenza mentale o consapevolezza del sé, sia una ragazza che lontana dal solito accademismo, spesso distante dalla complessità reale dell’esistenza, dimostra come bravura e abbandono alla propria passione possono esistere anche in un momento in cui la droga è assente.
E’ vero che in passato gli artisti più grandi hanno usato sostanze per produrre le loro più preziose opere, ma senza voler essere moralisti è anche vero che oggi è sempre più importante dimostrare come, anche senza essere aiutati dagli stupefacenti, è possibile esprimere le parti più straordinarie di sé.
Sulla brochure di presentazione è raffigurata Incubazione, un’opera in cui una figura umana fluttua in un universo blu protetta da quelli che potrebbero essere i petali di un fiore: Denise Cecchini sembra aver fatto un viaggio dal quale è ritornata per reimmergersi nelle necessità più elementari.
Il rischio potrebbe essere quello del pietismo, ma se si presta attenzione si riesce a scorgere una comunicazione molto più articolata che si pone come una risposta a tutti: Denise infatti se da una parte dimostra ai più benpensanti come l’uso della droga non dev’essere un metro di giudizio delle qualità di chi ne fa uso, dall’altra affronta attraverso la sua esperienza la possibilità del dramma e della perdita di tempo e di senso che da essa può derivare allontanandosi da quella fastidiosa forma di narcisismo e ignoranza che oggi spesso ne accompagna l’uso.
Infine al di là di tutto questo bisogna dire che la pittrice è davvero brava e nel suo lavoro si può ritrovare una purezza e un’onestà di linguaggio spesso non così comune.

Asia Leofreddi

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