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Le mille e una notte. Storia di un dormiglione risvegliato

[TEATRO]

ROMA – Dichiaratamente ispirato a una delle novelle della celebre raccolta orientale, lo spettacolo Le mille e una notte. Storia di un dormiglione risvegliato (dall’11 al 14 febbraio al Teatro Sala Uno) ha portato in scena una rilettura della nota fiaba che narra la vicenda del califfo di Bagdad, che per il proprio divertimento mette alla prova un mendicante permettendogli di regnare tra due sonni e di essere nella posizione di privilegio di poter usufruire per un solo giorno del massimo potere.

Riprendendo l’espediente narrativo della narrazione nella narrazione reso illustre dai racconti de Le mille e una notte, la rappresentazione, che è il risultato del laboratorio “L’immaginazione al potere” condotto da Marco Solari, Alessandra Vanzi e Patrizia Bettini, si concentra certamente sul concetto stesso di potere, ma anche e inevitabilmente sull’uomo e sulla cupidigia umana, sulla vanità e l’egoismo che per natura appartengono al genere umano.
E’ su queste basi che si sviluppa dunque uno spettacolo che, sostenuto costantemente da una vena drammatica ironica e brillante, si interroga sull’essenza dell’uomo e sul senso di essa, e che a partire da considerazioni e introspezioni relative alla specificità della vicenda rappresentata sul soddisfacimento del desiderio, sul peso e la leggerezza dei pensieri e delle azioni, sull’effimero che pervade ogni cosa e gesto, crea delle risonanze tra l’antico e l’oggi su un terreno universale di riflessioni che definisce la nostra esistenza in qualsiasi tempo e a qualsiasi latitudine.

Sebbene dunque sdrammatizzati dai toni comici che la giovane e affiatata compagnia elegge cifra della rappresentazione, questi interrogativi di notevole portata sollevati nella rappresentazione rimangono i punti cardine su cui la vicenda si incentra, rimanendo sospesi sottoforma di una domanda cui in fondo non verrà mai data una risposta definitiva, se non nella battute finali in cui viene affidata alla morale e alla poesia delle parole di La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca, che proprio in quest’opera rinarrò la fiaba orientale del Califfo funzionalizzandola ad una diversa struttura.
E’ infatti così che termina il lavoro del laboratorio, lasciando la parola all’interpretazione del drammaturgo spagnolo che individua nella cultura e nel ruolo della civiltà le sole risorse e gli unici strumenti di controllo possibile per vegliare sul comportamento naturale dell’uomo, per difendere l’umanità e regolare i rapporti umani tra loro in cui altrimenti l’individuo consegnato ai suoi impulsi naturali si abbandonerebbe – ne è l’esempio paradigmatico il mercante – all’aggressività, alla voglia di sopraffazione dell’altro e alla sensualità, fino a rischiare di distruggere tutto e autodistruggersi, esponendosi a un pericolo sempre incombente fino al momento in cui non aprirà gli occhi e in un laico pessimismo pieno di fiducia si renderà conto che la vita è sogno e che tutte le felicità si dissolvono e vanno vissute come un sogno.

Alice Salvagni

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