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Sold out per Giardini di Mirò

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[MUSICA]

gdmROMA- L’arrivo in un Circolo degli Artisti che straborda di aspiranti ascoltatori, impossibili da accontentare per il tutto esaurito, è il segnale: i Giardini di Mirò non cambiano le carte in tavola, non le mescolano nemmeno. Rimangono loro stessi, pur dando qualche sferzata di nuovo che incuriosisce vecchie e nuove orecchie.

È approdata anche a Roma, il 9 gennaio, una delle ultime performance della sonorizzazione del film del 1915, Il fuoco, diretto da Giovanni Pastrone, e voluta dal Museo Nazionale del Cinema di Torino per dare una svolta rock all’immagine del film. Collaborazione che ha portato poi alla realizzazione di un vero e proprio album, il quarto in studio per i Giardini di Mirò, Il fuoco.
Al centro della sala un grande proiettore e due figure del passato, Pina Menichelli e Febo Mari,

attori di altri tempi, immersi nella musica di un domani parallelo. Perché quella dei Giardini di Mirò, quella che si è disposta come culla per accompagnare una visione crepuscolare del nostro cinema, non può identificarsi meglio che in un salto nei tempi.

Vari momenti compongono la serata. Si comincia con Il fuoco. Il film è suddiviso in tre capitoli il_fuoco“La favilla”, “La vampa”, “La cenere”. E così anche il suono. Tre diversi momenti. “La favilla”, che nell’album si articola su 7 tracce, e che nel suono è soprattutto un lento movimento di corde (Jukka Reverberi e Corrado Nuccini) che accarezzano dolcemente le immagini. Diventa un bilico tra felicità ed incertezza sulle ali tese di un violino che fa cadere ogni difesa (Emanuele Reverberi). Come l’inizio di un amore. Poi l’aria si fa pesante, Francesco Donadello batte più greve sulle percussioni e le corde elettriche diventano più acide.
Si prepara il terreno al secondo capitolo, “La vampa”. Luca Di Mira (tastiera) crea un sottile spazio cristallino. Entra a passo lento l’elettronica, che poi prende pieno possesso della scena. Si ritorna per qualche minuto a quel certo post rock dei tempi andati. Ma poi la vampa ispiratrice diventa una corsa verso l’oblio trattenuto e ostacolato dal ricordo di quello che è stato (tra scariche elettriche e assalti noise). Ed è incandescenza, sotto l’oscurità del proiettore e tra i giri di basso di Mirko Venturelli.
“La cenere” e quel che rimane dell’ossessione del protagonista del film diventano quasi accessori di una musica che dice già tutto nel silenzio.

Giardini_di_Mir_090110_Circolo_degli_Artisti_004Nella seconda parte tornano i Giardini di Mirò del 2001, di quell’album che può essere decretato come il migliore, anche da loro stessi a quanto pare, dato che 3 delle 4 canzoni di repertorio sono di Rise and fall of academic drifting (“Pet life saver”, “Trompsø Is OK”, “A New Start -For Swinging Shoes”). L’altra? Ovviamente “Cold Perfection”.
Ma ci sono anche i Giardini di oggi sul palco, con pezzi nuovi (“Clap”, “Jukka 2” e “Crying Rome”) più che apprezzati da un pubblico che svogliatamente deve incassare la fine del concerto e una rivisitazione di Punk… not diet , detta “drum machine”, come arrivederci.

Emiliana Pistillo

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