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First dive: frammenti di un discorso fotografico

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[ARTI VISIVE]

First_dive1ROMA- Sguardi accattivanti che catturano quello dello spettatore mentre colori ridotti alla pura essenzialità e semplicità, seppur senza mai scendere di tono, spargono allegria e briosità nelle viscere dell’atmosfera, che circonda il luogo su cui si concentra la mia attenzione.

Una curiosità mi assale quando mi soffermo di fronte al pensiero di avere a che fare con una artista esordiente, giovane e con tanta voglia di comunicare la sua energia e creatività, che per la prima volta vengono ufficialmente presentate al pubblico: Lorella Quattrociocchi.
La sua tecnica elaborativa consiste nel ritagliare il mondo circostante in tante immagini divinamente lasciate cadere sull’obiettivo della sua macchina fotografica, per poi trasformarle in tanti mosaici di cui non ci resta che assaporarne l’effetto sui nostri sensi.
Quelle che vengono presentate allo spettatore sono le prime immagini di un concentrato di forme umane, a cui vengono sottratti quei connotati, che rischierebbero di mostrare delle identità che ostacolerebbero lo sguardo dello spettatore nel suo cercare oltre la fisionomia, che maschera l’essenza dei suoi protagonisti. Ecco perché il suo obiettivo si sofferma su gambe (M’ look blue), profili (Passion-Sharry-Short), o esseri umani immersi principalmente in colori caldi il cui intento consiste nel sottolineare in alcuni casi forme sinuose ed in altre un accenno di saffico (C’wo-man First_dive2slip), attraverso l’uso di modelli con fisici androgini.
Lo spettatore sa di intraprendere un viaggio, un vagare che non conosce ostacoli, prosegue la sua rincorsa per andare oltre l’apparenza che si incastra nell’immagine, come un insetto che cade nella tela di un ragno.

Quel luogo chiamato oltre di cui le sue opere si cibano non è solo un viaggio nell’ignoto ma rappresenta soprattutto la scoperta dei minuti scorci, che si aprono dinanzi alla nostra esistenza quotidiana, che, come tanti frammenti di cristalli, vengono catalogati dal nostro osservare che lentamente si lascia accarezzare dal particolare rivelato attraverso l’arte.
Il titolo della mostra, First dive, che letteralmente vuol dire “primo tuffo”, presentata presso il MOMUS di Testaccio, racchiude quel senso di visione sgretolato di un mondo abissale che la mente raccoglie in tanti frammenti risalendo a galla dopo un tuffo.
Quell’immagine statica che si presenta allo spettatore in realtà si presta a diverse sfumature interpretative quando, soffermandosi davanti alla nostra percezione, ne valutiamo il possibile evolversi, il movimento successivo o addirittura lasciamo che il nostro essere si rifletta su di essa, per cercarne un contatto non a senso unico.
L’arte non cerca la nostra identità, ma va a caccia di essenze che non si lasciano afferrare dall’ordinario, se non attraverso quella creatività che travalica l’apparente stato di sobrietà di cui ci è concesso vivere.

Eva Di Tullio

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