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53° Esposizione Internazionale d’Arte

tobias
[ARTI VISIVE]

tobiasVENEZIA- Lo scorso 22 novembre si è conclusa a Venezia la 53° Esposizione Internazionale d’Arte. Pur nascendo come un concorso, la Biennale di Venezia è molto di più: un’occasione per fare il punto della situazione sullo status dell’arte contemporanea e per scorgere novità e provare emozioni.

L’arte contemporanea si serve sempre di più di una nuova (ora non più come prima) strategia comunicativa, che mette al centro dell’opera d’arte lo stesso spettatore: l’installazione.
A metà strada tra architettura, pittura, scultura e letteratura (se fa uso anche della parola), l’installazione pone lo spettatore in medias res, non perché preveda sempre una parte di interattività, quanto piuttosto perché mai come nel caso dell’installazione, è lo spettatore a scegliere il punto di vista dal quale osservare l’opera, spostandosi fisicamente al suo interno e diventandone quindi, almeno in parte, protagonista.
E il tema della Biennale di quest’anno, Fare mondi, è ancora più indicativo di questo binario su cui corre l’arte contemporanea.

Ma non di sole installazioni vive la Biennale di Venezia: l’uso di nuove tecnologie, di nuovi linguaggi più o meno recenti, o meglio la possibilità di rendere arte anche ciò che in genere non è considerato tale, sono gli elementi costitutivi di quest’edizione.
Chiarissimo il senso delle parole di Daniel Birnbaum, direttore dell’edizione di quest’anno:
Un’opera d’arte è più di un oggetto, più di una merce, essa rappresenta una visione del mondo e, se presa seriamente, può esser vista come un modo di fare un mondo. Qualche segno tracciato sulla carta, una tela appena sfiorata o una vasta installazione possono costituire modi diversi di fare mondi e la forza della visione non dipende dalla complessità brucedegli strumenti messi in gioco.
Trascurando – si fa per dire – l’incantevole cornice costituita da Venezia e dal suo grigio cielo invernale che dà ai colori sfumature diverse, raggiungendo gli spazi adibiti alle esposizioni, si ha l’impressione di trovarsi già all’interno di un’opera d’arte. E forse non è un’impressione del tutto errata.
La mostra si snoda in due spazi espositivi distaccati, l’Arsenale e i Giardini, e comprende al suo interno opere di più di 90 artisti provenienti da tutti i Paesi del mondo, presenti negli spazi adibiti alla mostra e nei vari padiglioni nazionali.
La giuria della Biennale quest’anno ha premiato col Leone d’Oro per la migliore Partecipazione Nazionale gli Stati Uniti d’America, e i Topological Gardens di Bruce Nauman.

Riconosciuto come uno degli artisti più innovativi della sua generazione, Nauman (classe 1941) fa un uso concettuale e performativo del linguaggio mescolando video, installazioni, sculture, fotografie e neon inseriti in contesti quotidiani per rivestirli di nuovi significati.
Vince il Leone d’Oro per il miglior artista della mostra Fare Mondi, il tedesco Tobias Rehberger, con la creazione dell’ambiente di una caffetteria intitolato Was du liebst, bringt dich auch zum Weinen. Un ambiente percorribile e vivibile dallo spettatore, che sperimenta in questo modo l’aspetto disorientante dato dall’uso delle linee e dei colori tipico dell’artista.
Nathalie_DjurbergPremiata con il Leone d’Argento come giovane artista più promettente della mostra Fare Mondi, la dolcissima e inquietante opera della svedese Nathalie Djurberg; l’artista, nei suoi film in Claymation, mette in scena l’innata paura umana per l’incomprensibile. Le proiezioni avvengono all’interno di una sala nella cui penombra fiori mostruosi e fantastici ricreano una sorta di Eden perduto in cui tutto ciò che è puro in realtà non è tale.
Abbandonando l’esposizione, al di là del concorso, – in questo siamo solo spettatori – gli occhi sono pieni, e la laguna illuminata dalle prime luci della sera ci avvolge malinconica con la sua nebbiolina leggera.

Chiara Macchiarulo

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